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il ministro dell’Economia Daniele Franco con il premier Mario Draghi

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C’è una lobby formata dai sindaci delle grandi città e dai governatori delle regioni del Centronord che vorrebbe ridefinire la vocazione del Piano nazionale di resilienza e di ripresa. Un partito trasversale che punta a recuperare quei finanziamenti stanziati dalla Ue che, in caso di ritardi o incapacità nella gestione dei progetti, andranno restituiti.
L’idea è introdurre un meccanismo di compensazione per ridistribuire le risorse non spese dal Mezzogiorno. La lobby si è mossa sotto traccia fino a quando sono spuntati i fuori onda tra il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Il primo cittadino del partito democratico e il governatore leghista, quanto di più distante fino a ieri ci potesse essere.

LO SCUDO CARFAGNA

A entrambi ha risposto la ministra per la Coesione territoriale, Mara Carfagna, che anche ieri, chiamata in causa dal suo collega del Mite, Roberto Cingolani, è stata costretta a tornare sull’argomento.
Cingolani ha prorogato alla metà di marzo la scadenza dei bandi Pnrr destinati all’economia circolare per dare modo al Sud di partecipare. Carfagna ha quindi annunciato che convocherà un tavolo con i presidenti di Regione per superare le criticità che hanno impedito finora una più massiccia partecipazione ai bandi da parte di Comuni e imprese del Sud.
«Il Mezzogiorno – ha esortato la ministra – ha una storica carenza nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti, una carenza che ha dato origine a ripetute emergenze, anche in tempi recenti, e intendo fare il massimo perché gli investimenti siano utilizzati fino in fondo».

È un derby Nord-Sud che non fa bene al Paese, quello che si profila all’orizzonte. Una partita che non si gioca comunque ad armi pari. Il Meridione manca di uomini e mezzi. Gli enti locali sono stati spogliati di risorse e competenze. Organici ridotti al minimo, casse vuote, impossibilità di approvare i bilanci di previsione. Ma invertire a questo punto il senso di marcia delle risorse vorrebbe dire stravolgere il senso del Pnrr, che resta quello di colmare il divario digitale, infrastrutturale e ambientale, un gap di strutture che ha creato una gigantesca sperequazione sociale. Il motivo per il quale su 206 miliardi destinati all’Italia 82 dovranno essere distribuiti al Sud, una quota pari al 40%. Ma rispettare tutti i criteri e farli coincidere col principio della territorialità non è cosa semplice.

FRANCO: AL NORD ANDRÀ COMUNQUE IL 60% DELLE RISORSE

Ancora ieri il ministro dell’Economia, Daniele Franco, è stato costretto a ripeterlo. «Il Pnrr nasce avendo in mente l’obiettivo dell’inclusività, il 40% delle risorse rivolto alle regioni meridionali – ha ribadito ieri, al termine della conferenza stampa del Cdm – il recupero delle regioni del Sud è nell’interesse fondamentale del Paese, da 40 anni il Pil pro capite nel Sud non recupera più rispetto al Centronord, è inferiore del 40%: il Pnrr è uno strumento con cui riavviare questo recupero che è fondamentale per tutto il Paese. Questo, però, non implica che il Piano debba trascurare il Centro Nord, che dovrebbe ricevere circa il 60% delle risorse: noi abbiamo cercato di venire incontro alle amministrazioni del Nord».

Ma dicevamo della lobby. Corre voce che Massimiliano Fedriga voglia portare la questione in Conferenza delle regioni. In questa direzione si colloca anche la mozione votata martedì alla Camera e fatta propria dal governo per ridefinire i criteri di finanziamento dei Piani di rigenerazione urbana. Uno su tutti: l’indice di vulnerabilità sociale che ha favorito inevitabilmente i progetti presentati al Sud lasciando fuori il Centronord. Per correre ai ripari si è mosso il ministro bellunese per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Inca: è in pochi giorni ha trovato 900 milioni di euro da aggiungere ai 3,4 miliardi per finanziare anche i progetti dei Comuni settentrionali e veneti in particolare.

LA PROPOSTA INDECENTE

Stefano Bonaccini, uno che nei dem spesso non esita ad andare controcorrente per sostenere nel suo partito le ragioni del Nord, dice che dare più risorse al Sud «è giusto», anzi, «inevitabile, perché un grande Paese ha bisogno di non andare a 2,3, 4 o 5 velocità diverse».
Ma da questa premessa nascono considerazioni molto diverse. «Certo – dice – il Nord è oggi la parte più produttiva del Paese che ha bisogno di correre più velocemente perché può trainare la ripresa». Ed ecco dove vuole andare a parare il governatore dell’Emilia-Romagna: «Sarebbe utile un meccanismo di compensazione e, non so se sia possibile, far sì che laddove le risorse assegnate non vengano spese possano essere messe a disposizione di quelli che hanno progetti già pronti e sono capaci di farlo in nome dell’interesse italiano, non solo territoriale». Bonaccini fa un esempio pratico. Dice: «Se ti mettono a disposizione tante più risorse di prima nei progetti e nella programmazione settennale, ad esempio, che è oltre, un aggiunta al Pnrr non una sottrazione, tocca a noi dimostrare di saper spendere bene fino all’ultimo euro».

ALLA FACCIA DELLA COESIONE

Chiaro il concetto? Se al Sud avanza qualcosa, se loro non sono capaci di gestire i fondi di Bruxelles, quei soldi dateli a noi che sappiamo cosa farne. È questo, in soldoni, il Bonaccini-pensiero. Il presidente dem potrebbe dire “mettiamo il Mezzogiorno in condizione di gestire i progetti, facciamo in modo che vi siano le competenze e il sostegno necessario, tecnici esperti e capaci in grado di partecipare ai bandi”. Ma non lo dice e chiede di utilizzare i soldi non spesi lasciando il Sud nell’arretratezza. Quando si dice un Paese unito e una comunità solidale…


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