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Ignazio Visco

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Declino, immutabilità, responsabilità: la condizione di una parte del Paese, il Mezzogiorno, in cui vivono oltre 20 milioni di persone, che ha visto ampliarsi il divario con il Nord; l’immutabilità di una condizione che resta uguale a se stessa da almeno un trentennio – ma qualcuno l’allunga a 50 anni -, le mancanze dello Stato, sia nelle sue funzioni essenziali, sia in quelle complementari. Se le 106 pagine del rapporto “Il divario Nord-Sud: Sviluppo economico e intervento pubblico” di Bankitalia ne “misura” le conseguenze sul lavoro, produttività, competitività, diritti; le parole del governatore danno la portata della “questione meridionale” e delle sue implicazioni per l’intero Paese.

«La gravità del ritardo di sviluppo del Mezzogiorno», determina «profonde diseguaglianze sociali ed economiche» e frena «la crescita dell’intera economia nazionale». Visco, in un contesto su cui pesa l’incertezza determinata dalla crisi ucraina, guarda quindi al Piano nazionale di ripresa e resilienza come a «una straordinaria opportunità per aggredire i fattori di ritardo della nostra economia e rafforzare la coesione territoriale del Paese» e la possibilità agire «per superare in modo progressivo ma risoluto la “questione meridionale”».

Un’opportunità che, sottolinea la ministra per il Sud, Mara Carfagna, implica anche «un’impegnativa responsabilità». «Se non saremo responsabili nell’uso di queste risorse, saremo colpevoli della loro dissipazione», afferma la ministra avvertendo del rischio che questa il Pnrr possa in qualche modo esser “travolto” nella battaglia per le prossime elezioni politiche: il braccio di ferro sulla riforma del catasto o sui balneari ne hanno fornito un esempio. «Mi auguro sinceramente che in una campagna elettorale che sarà, come è normale, molto dura e competitiva – dice – nessuno voglia mettere in discussione, contraddire e sabotare gli impegni che abbiamo assunto».

Il Pnrr, afferma, «è un piano di salvezza nazionale e va difeso, da tutti, in una logica di unità e responsabilità nazionale. E’ un’occasione importante per avviare la riduzione dei divari, anche se sappiamo che non basta, non è la bacchetta magica, serve continuità e anche un uso complementare ed addizionale di altre programmazioni che abbiamo a disposizione».

Negli ultimi 15 anni il divario tra Nord e Sud si è ampliato: i dati del rapporto lo “testimoniano”.
Il quadro su cui al Pnrr – insieme ai fondi nazionali e europei – si chiede di intervenire è quello di un Mezzogiorno che, sottolinea il governatore Visco, negli anni che ha preceduto la pandemia ha visto «ulteriormente ridotto» il suo peso: «il divario con il Nord in termini di tasso di occupazione si «ulteriormente ampliato», e i livelli di produttività sono rimpasti «ampiamente inferiori a quelli del resto del Paese».

Le regioni meridionali hanno pagato più delle altre, rileva Visco, le politiche di consolidamento dei conti pubblici, in termini di minori investimenti e trasferimenti. Per Visco, «l’ulteriore arretramento del sistema produttivo meridionale è la manifestazione in forma più intensa delle difficoltà che l’intera economia nazionale ha incontrato nel tener il passo con le trasformazioni in atto a livello globale».

Una tendenza confermata anche dalle analisi Svimez: «Emerge un problema Paese all’interno del quale abbiamo un ampliamento delle diseguaglianze interne, ma il doppio divario – tra Nord e Sud e tra l’Italia e gli altri Paesi – è la lettura dominante».

Intanto le proiezioni “vedono” una contrazione della forza lavoro meridionale rispetto al resto del Paese, per via della «incapacità» delle regioni meridionali di trattenere i propri giovani e attrarre lavoratori stranieri. Una mancata inversione di rotta che porti a aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, le opportunità di impiego e la produttività, provocherebbe, avverte Visco, «un ulteriore indebolimento dello sviluppo del Mezzogiorno con evidenti conseguenze per l’Intero Paese».

L’elenco dei problemi strutturali del Mezzogiorno illustrato dal governatore è lungo e in alcuni casi chiama in causa «un intervento pubblico non adeguato». Si va dal sottodimensionamento del sistema produttivo rispetto alla popolazione, al prevalere di microimprese e alla bassa densità di imprese manifatturiere, con il conseguente limitato accesso ai mercati internazionali. I tassi di partecipazione al lavoro sono tra i bassi in Europa anche rispetto alle regioni europee in ritardo di sviluppo, spingendo all’emigrazione i più qualificati. «La fragilità del sistema produttivo è amplificata da un intervento dello Stato nell’insieme non adeguato», sostiene Visco indicando i ritardi nella dotazione infrastrutturale, sulla qualità e quantità dei servizi. C’è poi il tema delle infiltrazioni criminali che «è un ostacolo di primaria rilevanza per il rilancio dell’economia meridionale».

Da qui, la considerazione che «il miglioramento dell’insieme delle politiche pubbliche è una precondizione per ogni altro intervento diretto a favorire lo sviluppo del Meridione», e della necessità di un costante monitoraggio sui risultati, onde evitare che gli interventi risultino inefficaci e le risorse destinate a ridurre i divari vengano impelante come «strumento improprio di redistribuzione del reddito». Visco non trattiene una considerazione amara: «Scrivevamo queste stesse e identiche parole quasi 30 anni fa». Il governatore sollecita quindi l’esercizio delle funzioni essenziali dello “Stato minimo”, dalla tutela della legalità al funzionamento della giustizia, e il rafforzamento dell’azione dello “Stato complementare”, in modo da facilitare l’iniziativa privata e a creare le condizioni per un più elevato sviluppo sociale, investendo in infrastrutture e servizi.

Visco mette poi l’accento sul valore “strategico” dell’istruzione per lo sviluppo economico e sul ritardo del Mezzogiorno di cui danno misura i test Invalsi: «Non si può assistere con rassegnazione ai deludenti risultati degli studenti delle regioni meridionali, che incidono sulla loro capacità di proseguire nei livelli più elevati di istruzione, sulle loro possibilità di impiego, sulla loro crescita culturale». Bisogna agire «con decisione – afferma – per il contrasto di quello che possiamo definire il più ingiusto dei divari».

Per sostenere lo sviluppo economico, sottolinea poi Visco, le città possono giocare un ruolo importante a sostegno dell’iniziativa privata e per l’attrazione di investimenti nazionali e esteri. Come centrale è il ruolo degli imprenditori, soprattutto nello sfruttare le possibilità aperte delle tassazione verde e digitale, come dalla ridefinizione dell’organizzazione delle catene globali del valore globale determinato dalla guerra in Ucraina. «Si dice questo è il momento del Sud, io sono più cauto, bisogna fare attenzione a non rompere l’esistente, bisogna adattarlo ai cambiamenti, però è indubbio che nel Sud se ben utilizzate le opportunità ci sono».

Come ci sono le risorse – e sono tante considerando anche quelle nazionali e degli altri programmi europei – per riavviare la convergenza tra le diverse aree del Paese e un processo di sviluppo del Paese. «Le riforme che il Piano delinea potranno apportare alle regioni meridionali benefici maggiori, in quanto sono in esse più ampi i ritardi da colmare», sostiene Visco sollevando il tema della gestione delle risorse pubbliche e dell’attuazione degli interventi. «Qualcuno dice ‘ci danno i soldi e vogliono anche vedere come li spendiamo?’, ma è insito nel meccanismo del piano un confronto che e’ cruciale nel nostro interesse». Il rischio avverte è finire «nella stagione passata dei fondi strutturali che non si spendevano e poi venivano utilizzati per coprire interventi correnti e non strutturali», sostenendo quindi la necessità «di intervenire con decisione, anche a livello centrale, per correggere ritardi e inadempienze».

«Se sapremo ben impiegare le risorse a disposizione e perseverare nei programmi di riforma -dice Visco- non c’è motivo di ritenere che non si possano interrompere le tendenze negative del passato per riportare il Mezzogiorno e l’intera economia nazionale su un sentiero di sviluppo sostenuto».

Dal canto suo, anche alla luce delle dimensioni dell’investimento dell’Europa sul nostro Paese, cui è stata indirizzata la quota maggiore di fondi, il dg di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, evidenzia le responsabilità della classe dirigente del Paese nei confronti non solo delle del future generazione ma anche «del complesso dell’Europa perché – dice – dalla nostra capacità di saper far funzionare bene i fondi europei dipende anche molto del dibattito futuro sulla possibilità di ampliare gli spazi per una finanza centralizzata e poter affrontare in modo comune problemi che richiedono l’impiego di risorse pubbliche».


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