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Treni ad alta velocità

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In una sua lunga intervista al Corriere della Sera l’architetto Jean Nouvel si sofferma a lungo sul ruolo dell’architetto e ribadisce tra l’altro: “caratterizzare è il dovere dell’architetto: invece i piani regolatori oggi sono gli assassini dell’umanesimo.

Si tratta di disumanizzazione pianificata e costruita. La loro caratteristica è impedire di caratterizzare, quindi è una storia alla Fahrenheit, il racconto sulla distruzione e il divieto del libro: viviamo oggi la distruzione e il divieto dell’architettura. Le soluzioni esistono, sono negate dagli urbanisti che si considerano come i garanti di un sistema che non hanno mai avuto il coraggio di denunciare. Il ruolo sociale dell’architetto è stato negato.

Gli architetti eliminati dal sistema produttivo e privati di potere per la maggior parte hanno taciuto. Bisogna ristabilire il loro ruolo sociale poiché è vitale per la salute fisica e culturale dell’intera società” e ancora dovendo dare dei consigli ad un giovane architetto Nouvel ribadisce: “che comprenda bene che questo mestiere è una missione umanistica e artistica. Egli non ha il diritto di non saperla gestire o sottovalutarla. È innanzitutto una questione di etica che dovrebbe dar luogo come per i medici e per gli avvocati, a un impegno solenne. È un sacerdozio favoloso che implica di porsi la domanda iniziale della vocazione. I prossimi decenni dovrebbero essere tempi di riconquista, di mutazioni, di trasformazioni e di invenzioni nelle città e nei territori di oggi”.

Pochi mesi fa mi ero soffermato su un intervento del Professor Massimo Cacciari in una conferenza sul tema “La città europea tra dimora e spazio di negotium”; l’intera conferenza si era incentrata su un interessante approfondimento del Professor Cacciari sul tema della “esigenza di nomadismo ed esigenza di dimora”. Una dicotomia che senza dubbio caratterizza la società di oggi e la rende diversa da quella che eravamo abituati a conoscere, a capire, a interpretare.

Ci si muove spesso senza un riferimento programmatico ben definito, si viaggia, si vive nel “paese–mondo” e poi però si ha bisogno di tornare ad una dimora certa, ad una dimora scelta, ad una dimora preferita.

Questi due approfondimenti, quella di Nouvel e quella di Cacciari, negli ultimi 30 anni, sono state amplificate dal servizio offerto dall’Alta Velocità ferroviaria. In realtà è venuta meno la definizione di città data da Max Weber “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio–economiche”.

Per questo l’approccio di una personalità dell’architettura come Jean Nouvel non può non tener conto di come sia cambiato, in modo sostanziale, il concetto non di città ma di fruizione di ciò che la città contiene al suo interno e, soprattutto, di quante siano le città che un generico fruitore utilizza nell’arco di una settimana.

Una volta un cittadino romano impiegava tre ore per andare da Roma e Firenze e due ore e mezza per andare da Roma a Napoli, mentre per andare dal centro di Roma ad un quartiere della stessa città come quello dell’EUR impiegava un’ora; con l’alta velocità ferroviaria, prima del Covid, impiegava un’ora o al massimo un’ora e un quarto per andare sia a Napoli, sia a Firenze, sia all’EUR e anche in termini di frequenza il numero di treni offerti si attestava su un ritmo di venti minuti. Analogo discorso si può ripetere per chi vive a Bologna nelle relazioni con Firenze e Milano, per chi vive a Milano nelle relazioni con Torino, Genova e Brescia, si può ripetere per chi vive a Verona nelle relazioni con Padova e Verona.

Questa rivoluzione nelle relazioni tra ambiti urbani differenti e lontani modifica sicuramente le logiche con cui l’architetto ed in particolare l’architetto–urbanista deve, quanto meno, reinventare i canoni tipici con cui per anni si sono redatti i Piani Regolatori. Almeno per le realtà urbane legate da reti ferroviarie veloci, da reti che, come più volte ho avuto modo di ricordare, hanno praticamente reso questa parte del Paese legata da una offerta di tipo metropolitano e non ferroviario ed hanno quindi modificato anche il ruolo e le funzioni dei nodi stazione e delle aree interagenti direttamente ed indirettamente con i nodi e con le aree residenziali e commerciali gravitanti nell’intorno.

Questo fenomeno coinvolge, nel caso del nostro Paese, una utenza superiore ai 20 milioni di abitanti ed in realtà produce un modello diverso da quello che caratterizza gli utenti delle altre realtà urbane non ubicate su tale impianto di tipo metropolitano. In realtà ha ragione Jean Nouvel nel ritenere quanto meno non più adatti i metodi con cui, come dicevo prima, per anni abbiamo tentato di disegnare l’assetto delle nostre città e bisogna dare atto a Max Weber se oltre un secolo e mezzo fa aveva descritto un ruolo dell’urbano, un ruolo della città completamente lontana dalla banale impostazione classica legata alle cubature, legata all’arredo, legata alle destinazioni d’uso, legata alla zonizzazione, legata alle distanze ed alla identificazione degli assi infrastrutturali, ecc. Nouvel, forse esagerando dichiara che “i piani regolatori oggi sono gli assassini dell’umanesimo” e che “le soluzioni esistono, sono negate dagli urbanisti che si considerano come i garanti di un sistema che non hanno mai avuto il coraggio di denunciare”, sicuramente però forse sarebbe bene compiere un atto di umiltà ed ammettere che è davvero strano continuare ad avere riferimenti standard o impostazioni normative come la Legge 1150/1942 e successive modifiche nel processo di pianificazione dell’urbano e ciò sia per le grandi realtà che per le medie realtà urbane.

Anche in questo approccio non possiamo però non ricordare che, esclusa la città di Napoli, nell’intero sistema Paese modificato da una offerta ferroviaria ad alta velocità non compare nessuna città del Mezzogiorno; in realtà nel Mezzogiorno anche le grandi città, quelle superiori ai 200.000 abitanti come Taranto, Bari, Reggio Calabria, Messina, Catania e Palermo, sono riferimenti isolati e non interagenti fra loro e come tali ancora forse soggette a logiche pianificatorie che non tengono conto di questa modifica che, in realtà, annulla le abitudini classiche con cui si legge e si interpreta l’assetto di una città.

In questo Nouvel ha ragione nel ritenere che “il ruolo sociale dell’architetto è stato negato”, negato perché è cambiato proprio in questi ultimi trenta anni la base di un numero rilevante di città, sia di quelle grandi sia di quelle medie, supportate da una rete infrastrutturale che, indipendentemente dalla volontà dell’architetto urbanista, ha modificato le funzioni che caratterizzavano “l’uso della città” e non “la città”.

Ancora una volta però la mancata diffusone di questa nuova offerta trasportistica nel Sud del Paese amplificherà ulteriormente il gap tra Centro Italia e Mezzogiorno e lo amplificherà sia nell’assetto socio economico, sia nelle abitudini che descrivono sistematicamente il vivere di chi nel Sud vive in piccole, medie e grandi città e questo sarà, a mio avviso, uno dei gap che difficilmente riusciremo a superare anche se, forse fra venti anni (questo penso sia l’arco temporale necessario per portare una offerta ferroviaria ad alta velocità nel Sud), il nostro Mezzogiorno avrà città fra loro interagenti, città come Palermo, Catania, Messina e Reggio Calabria in grado di essere vissute con una sistematicità quasi giornaliera non annullando la propria specificità funzionale ma amplificando la propria ricchezza di opportunità offerta ai vari fruitori, città come Bari e Taranto completamente diverse in termini di indicatori socio economici (Bari città commerciale e Taranto città industriale) ma al tempo stesso saranno legate da una potenziale complementarietà in diversi comparti della produzione.

L’unica negatività sta nel fatto che in questi prossimi lunghi anni queste realtà del Sud perderanno occasioni rilevanti per la crescita del loro PIL e questa imperdonabile perdita non si potrà in nessun modo recuperare.


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