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Il progetto del Ponte sullo Stretto

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Perché la stessa determinazione che si ha nel portare avanti le opere strategiche infrastrutturali del Nord non viene applicata quando si tratta di opere del Sud? È una domanda che viene spontanea quando si guarda con occhio retrospettivo a quello che accade nelle varie parti del Paese, laddove vi siano movimenti di contestazione.

Che vi possano essere resistenze e difficoltà nell’attuare opere fondamentali che cambiano la quotidianità di molte persone e di intere società è un fatto assolutamente normale. Quando si trattò di costruire la torre Eiffel il dibattito in Francia fu di quelli dilanianti, molti si posero di traverso rispetto ad un’opera che si riteneva inutile, costosa e dannosa per lo skyline della città.

Particolarmente aspra fu la critica di Paul Planat, direttore della rivista di architettura La Construction moderne, il quale bollò la Torre con clamorosi giudizi di demerito, definendola «un’impalcatura fatta di sbarre e di ferro angolare, priva di qualsiasi senso artistico», dotata di un aspetto mostruoso, «che dava la brutta sensazione di incompiutezza». Nelle società democratiche qualunque tipo di intervento pubblico ha parti della popolazione in disaccordo.

“È il gioco della democrazia fratello“ direbbe qualcuno. I dibattiti ai quali abbiamo assistito nel momento in cui la crisi del Covid 19 era più allarmante, come quelli a cui assistiamo adesso sull’opportunità di fornire armi all’Ucraina, sono esplicativi di come le posizioni in una società democratica siano sempre differenziate.

Solo nelle realtà totalitarie il consenso è completo, anche perché il dissenso viene immediatamente colpito e messo in disparte, per non dire represso con strumenti e sistemi che tutti conosciamo.

Quindi nulla di strano in posizioni contrarie! Non si capisce però come mai quando le difficoltà riguardano opere importanti che si devono costruire nel nord del Paese tutti i movimenti di protesta vengono superati e le opere continuano il loro iter, mentre quando tali problemi riguardano un’opera da costruirsi al Sud, ogni cambio di Governo piuttosto che elementi nuovi nella situazione internazionale, periodiche crisi economiche, sono tutti elementi che portano al rinvio dell’opera stessa.

Esempi illuminanti, quasi didascalici, sono quelli della TAV e del ponte sullo stretto di Messina. Come è stata avversata la TAV dai movimenti ambientalisti piuttosto che dalle organizzazioni locali forse non è stata avversata nessun’altra opera in Italia. Peraltro 57 km di scavo in un tunnel infinito, un costo certamente notevole da affrontare, alternative di collegamento già esistenti, potevano portare al blocco dell’opera. E invece no! Correttamente l’opera continua ad andare avanti, con qualche ritardo probabilmente, superando difficoltà continue, ma continua ad andare avanti. Le Madamine torinesi sono scese in piazza per affermare l’indispensabilità dell’opera e vari Governi si sono impegnati a fianco a tante forze politiche perché l’opera non subisse un arresto assolutamente esiziale. Bene lo stesso tipo di approccio non l’abbiamo avuto per quanto attiene al ponte sullo stretto.

Eppure un’opera come questa, adesso ancor di più con la rinvenuta centralità dell’Africa e dei collegamenti con essa, sarebbe stata fondamentale come importante sarebbe stato la messa a regime dei porti di Augusta e Gela per esaltare quel ruolo di piattaforma logistica del Mediterraneo, che il nostro Paese ha avuto come dono della natura. Invece è bastato una gomma da cancellare in mano ad un nordista incallito come Mario Monti per eliminare un’opera già appaltata per la quale vi erano già i finanziamenti, un progetto esecutivo, anni di studio e di approfondimenti notevoli, gruppi di architetti di fama internazionali che avevano lavorato al progetto, un bando legittimamente vinto da una società che costruisce ponti in tutto il mondo e che porta il successo dell’imprenditoria italiana ad essere apprezzato per tali opere da tanti Governi stranieri. È bastata una gomma da cancellare e come in un gioco dell’oca ripartire dalla prima casella come se il tempo fosse una variabile indipendente.

Malgrado il favore teorico di molta parte del Paese politico, di maggioranze che si dichiarano a favore, da Fratelli d’Italia a Forza Italia a Lega Nord a Italia viva fino ad arrivare al PD, escludendone la parte di sinistra più radicale, quella di Leo e parte dei Cinque Stelle. Bene malgrado tale apparente consenso il progetto si ferma e si ricomincia con studi di fattibilità, con spostamenti di localizzazione dei pilastri, con ponte a tre campate e quindi con nuovi progetti, buttando alle ortiche quel lavoro incredibile di base necessario perché molte delle risorse vengano investite. Cioè avere dei progetti esecutivi che mettano a terra le risorse che ormai ci sono e che facciano sì che le opere si completino. Cioè si fa finta che il progetto sia inesistente, che non sia realizzabile, quando per esempio sullo stesso progetto un ponte è stato già costruito ed inaugurato in Turchia, anche se con una campata più piccola non con i 3,300 km di cui ha bisogno il ponte sullo stretto, ma più o meno 2000, ma con progetto assolutamente analogo.

La cosa strana è che mentre nei casi che riguardano il nord del Paese il blocco delle opere diventa un elemento fondamentale per uno scontro politico con conseguenze importanti fino alla minaccia di crisi politica, nel caso di opere che riguardano il Sud, tutto si svolge in maniera edulcorata. Vi è qualche protesta, qualche interrogazione, il ricordo che una certa forza politica l’aveva fatto appaltare, che alcuni sono stati sempre favorevoli al ponte, dichiarazioni di principio sul fatto che il collegamento stabile sia fondamentale per il Paese, grida manzoniane diffuse e studi di fattibilità che si succedono, idee nuove che si affacciano, per poi essere smentite per la seconda volta, visto che la prima volta era già accaduto che fossero smentite, come il tunnel di Archimede o subalveo, qualche prima pagina di giornaloni nazionali, che si pongono a favore o contro e poi il silenzio dei fatti.

Non è bastato nemmeno dimostrare che il ponte si pagherebbe con il costo di un anno di maggiori oneri che la Sicilia paga per la mancanza dell’opera per provocare prese di posizioni nette, mentre i meridionali e i siciliani sono lì a guardare come l’asin bigio di Carducci che “rosicchiando un cardo rosso e turchino, non si scomodò: tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo e a brucar serio e lento seguitò”. Tutto casuale?


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