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Il tema dell’immigrazione è sempre presente nel dibattito politico. Le posizioni sono chiare: il centro destra, velleitariamente, vorrebbe chiudere i porti, alcune volte impedire alle imbarcazioni di arrivare, non si sa bene come; il centro sinistra sembra voglia accogliere tutto il mondo senza alcun correttivo che possa contenere il fenomeno.

Il tema è di quelli che spostano molti voti e i partiti, che se ne rendono conto, ne fanno un’arma della contesa politica. In realtà, però, pochi sono i provvedimenti che sono stati presi per cercare, certamente non di bloccare, ma di arginare un fenomeno epocale assolutamente impossibile da impedire. Piuttosto sarebbe opportuno trovare un modo per regolarlo ed evitare quei fenomeni che, appena il mare è calmo e consente la traversata, rimbalzano sulle cronache hotspot affollati e invivibili, come anche naufragi con morti che dovrebbero essere assolutamente evitati.

EUROPA MIOPE

L’Italia è uno stivale immerso nel Mediterraneo che, con la Sicilia, Lampedusa e Pantelleria, quasi tocca la vicina Africa. Tanto che alcuni immigrati dalla Tunisia sono arrivati anche in surf. Per questo pensare di impedire il flusso è assolutamente inconcepibile, mentre è possibile pensare a forme di gestione del fenomeno. È chiaro a tutti che gli accordi con i Paesi rivieraschi del sud del Mediterraneo sono indispensabili, tenendo presente che anche per loro la gestione di tali flussi provenienti spesso dall’Africa Sub sahariana non è cosa semplice e ha costi non indifferenti.

Evidentemente l’instabilità di tali Paesi (ancora non arrivati, dopo il periodo della loro colonizzazione, a forme democratiche evolute), nei quali spesso bande contrapposte si combattono, aiutate ciascuna da Paesi occidentali che lì hanno interessi energetici importanti, per il controllo del territorio, rende il tutto più complesso.

L’Europa, in realtà, non ha avuto una visione ampia della problematica e non ha mai investito in modo determinato in tali Paesi, preferendo, per una decisione pilotata dalla Germania, investire sull’Est europeo, indirizzo importante ma che forse è stato attuato troppo prematuramente e che ha portato anche ai fatti dell’Ucraina dei quali in questo momento stiamo soffrendo.

Continuare con gli accordi che prevedono che alcune operazioni possano essere effettuate sul territorio africano, per impedire un flusso incontrollato di coloro che non hanno diritto all’accoglienza, può diventare un passaggio importante da effettuare.

Anche se gli accordi vanno fatti a livello europeo con i Paesi d’origine dell’emigrazione, stabilendo flussi regolari che consentano quegli arrivi che sono necessari al nostro Paese, cercando – è triste dirlo – di scegliere le figure professionali che a noi interessano.

La pressione effettuata finora nei confronti dell’Europa non è stata sufficientemente forte da permettere la necessaria regolamentazione, dopo decenni in cui il fenomeno è stato considerato assolutamente provvisorio, mentre ormai è chiaro che si tratta di un fenomeno strutturale che difficilmente si esaurirà naturalmente, ma che invece è probabilmente destinato a incrementarsi.

OPERAZIONE FLUSSI

Ma l’altro aspetto sul quale si dovrà lavorare è quello dei flussi che inevitabilmente arriveranno, o recuperati dalle navi Ong che svolgono un ruolo importante nella salvezza di vite umane, o da quei barconi che i mercanti di uomini fanno partire dalle coste africane e che difficilmente, anche con operazione di controllo molto più decise dei paesi rivieraschi, potrà essere totalmente eliminato.

E allora bisognerà prepararsi sulle coste italiane ad avere strutture adeguate per un’accoglienza civile, senza per questo sacrificare territori che hanno diritto a un loro percorso di sviluppo economico che non sia messo in discussione da un’accoglienza indiscriminata.

Il primo punto di approdo, come sanno ormai anche i bambini, è Lampedusa. Ma il fenomeno dell’hotspot confligge con la vocazione dell’Isola, che è diventata una delle mete più importanti del turismo italiano, certamente di quello siciliano.

E allora pensare di investire qualche decina di milioni per organizzare l’hotspot sull’isolotto di Lampione, che con i suoi 4 ettari potrebbe accogliere certamente qualche migliaio di migranti per periodi limitati, in modo da evitare che il fenomeno non impatti sull’isola di Lampedusa, può essere un’alternativa da considerare.
Senza pensare a situazioni alla Ellis Island e a una limitazione dei diritti umani fondamentali, l’utilizzo di quella piattaforma naturale potrebbe rappresentare un’alternativa ed evitare costi importanti di immagine, ma anche di impegno considerevole della struttura amministrativa comunale, che si trova a gestire un fenomeno che non la riguarda in modo assoluto, mentre l’Isola è ovviamente semi militarizzata per l’esigenza di dedicare metà del porto a imbarcazioni militari così come viene a soffrire della presenza di un numero proporzionato di militari rispetto agli ospiti numerosi dell’hotspot.

Altro aspetto da considerare è quello relativo ai centri di accoglienza dislocati in tutta l’Italia meridionale, che spesso sono diventati alloggi e residenze da cui si possa facilmente fuggire.

LE REGOLE MINIME

Insomma, senza arrivare agli estremi della Gran Bretagna che vuole trasferire i propri immigrati irregolari in Ruanda, bisogna stabilire delle regole minime che consentano di eliminare nell’immaginario collettivo il pensiero che l’Italia possa essere, contrariamente a quello che accade per esempio in Spagna, una meta tra le più facili dove sbarcare.

Ovviamente qualunque regolamentazione troverà le organizzazioni umanitarie nonché la chiesa cattolica contrarie, ma l’esigenza di un’organizzazione per evitare che i flussi siano incontrollati è manifesta.

È chiaro che i meccanismi regolatori veri sono quelli che prevedono che le realtà africane abbiano uno sviluppo che consenta alle popolazioni di poter avere una prospettiva di futuro nella loro terra: quello che viene affermato da tutti ma che non trova azioni conseguenti e funzionali al progetto.

Purtroppo ancora oggi molti territori sono sfruttati e non riescono a consentire la sopravvivenza a molti che preferiscono scappare, a rischio di morire affogati nel Mediterraneo pur di avere una prospettiva di futuro. Senza contare, ovviamente, quelli che scappano da guerre ed epidemie e che hanno diritto all’accoglienza, ma certamente il tema non può essere più affrontato come se da un giorno all’altro dovesse esaurirsi, quando sappiamo perfettamente che dovremo conviverci per molti anni e organizzarci perché tale fenomeno non impatti in modo devastante sulla nostra cultura e sulla nostra società.


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