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Il governatore del Veneto Luca Zaia e del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga

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“Per noi non esistono altre opzioni, siamo rimasti alla legge-quadro approvata all’unanimità nella Conferenza unificata delle regioni e approdata in pre Consiglio dei ministri. Noi a scanso ,di equivoci abbiamo depositato quel testo in Camera e Senato. Se la Gelmini deciderà di riscriverla lI aspetteremo in Parlamento. Fermo restando che non abbiamo nessuna intenzione di ripartire da zero”.

Non c’è traccia di politichese nelle parole di Francesco Boccia. Che non parla da ex ministro agli Affari Regionali come ha fatto per tutta la durata del governo Conte due bensì a nome del partito democratico. Un messaggio rivolto non solo a chi ha preso il suo posto ma soprattutto a quei governatori che vorrebbero “cambiare le carte in tavola”.

Indietro non si torna. Riferimento ai punti fermi fissati prima e durante la pandemia. A partire dalla pre-condizione: la definizione dei Lep, i livelli minimi delle prestazioni, senza i quali, più volte è stato detto, anche battendo i pugni sul tavolo, non si va nessuna parte, “una garanzia per tutti i territori, per il Sud e per le aree interne del Paese”.

LA BOZZA RISERVATA

A rimettere in discussione l’accordo faticosamente raggiunto è ora una bozza. Una versione modificata della legge che dovrebbe incorniciare l’impalcatura dell’autonomia differenziata. Una bozza rivisitata dalla Commissione di saggi nominata dalla ministra Gelmini e guidata dal professor Beniamino Caravita di Toritto. Il documento, rimasto rimasto riservato, sarebbe stata visionato in anteprima dalla Regione Veneto per intercessione dei parlamentari leghisti. E anche per questo rischia di diventare un “caso”. Un ambito troppo ristretto. Un trattamento di favore riservato al governatore Luca Zaia, il quale tra l’altro, l’ha rispedita al ministero riveduta e corretta, segnando con il pennarello blu i passaggi che non gli andavano più bene.

Ad irritarsi sono stati così quei governatori ai quali, a differenza del presidente veneto, era stata concessa al massimo una “interlocuzione”. Cosi che Zaia è stata costretto ad un’improvvisa marcia indietro negandone l’esistenza. “Non c’è nessuna bozza”. Ma la pezza è stata peggio del buco.

Il testo prodotto dalla Commissione tecnica ha mandato su tutte le furie proprio colui che più di tutti aveva premuto per conoscerne in via preferenziale il contenuto. Cioè Luca Zaia. Al quale non sarebbero piaciuti soprattutto due punti: il ruolo attivo del Parlamento che potrà emendare (e non solo ratificare) le intese tra governo e regioni Un ruolo che verrebbe esercitato anche sul governo. Alle Camere spetterebbe insomma l’ultima parola sempre e comunque.

Zaia ne ha parlato con suoi assessori. E in particolare con Gianluca Forcolin, uno dei suoi fedelissimi, l’uomo che segue gli enti locali. Un nostalgico del secessionismo alla Gianfranco Miglio, il fondatore del federalismo padano.

Nella versione originaria della ex ministra leghista Erika Stefani i Lep non erano previsti. Il passaggio in Parlamento diventava una questione formale. Si introduceva la lente deformante del residuo fiscale, i nove decimi da trattenere sul territorio delle regioni più ricche. Questa è in pillole l’autonomia differenziata vista dal Carroccio.

TAR CONTRO TAR

Di tutto questo per fortuna è scomparsa ogni traccia. Ma Zaia ora vuol tornare alla carica. Chiedere alla ministra forzista e lombarda Mariastella Gelmini anche la regionalizzazione della scuola. Il doge veneto non demorde. Non è bastato il caos delle aperture e delle chiusure delle scuole a seconda delle decisioni dei singoli presidenti delle Regioni. La confusione finita anche nelle aule di tribunale. Ordinanze di sospensione delle attività didattiche, provvedimenti specifici cautelari. Tar che accoglievano i ricorsi. Tar che li respingevano. Tar contro Tar per giudicare il perimetro delle competenze definite dalla nostra Costituzione. Da qui la richiesta al governo di non delegare più nulla alle Regioni e cancellare i poteri inopinatamente attribuiti agli enti locali dal decreto legge 33/20. “Rimaniamo dell’idea che istruzione e sanità siano due pilastri nazionali e vadano perciò garantiti livelli simili in qualsiasi angolo del nostro Paese – sostiene Alessandro Rapezzi, responsabile nazionale della Flc-Cgil – Questo lungo periodo di gestione della pandemia ha evidenziato come le differenze, ad esempio del sistema sanitario, offrano opportunità diverse dei cittadini. Servono garanzie uguali per tutti, che non vuol dire fare parti uguali ma garantire livelli essenziali di istruzione”.

Regionalizzare la scuole vorrebbe dire non limitarsi alla gestione della formazione tecnica e professionale e del coordinamento ma introdurre una disparità di trattamento, anche salariale. I dirigenti scolastici dipenderebbero direttamente dagli uffici scolastici regionali. Una limitazione della loro autonomia. Finora le richieste del Veneto non hanno riguardato la gestione del personale, resta però il fondato timore che le mire siano altre. La gestione dell’Istruzione – non dimentichiamolo – comporta l’utilizzo e la ripartizione di risorse. E le differenze territoriale sono ancora tante, un solco scavato in passato diventando sempre più profondo. Trasporti gratis per gli studenti che vivono in Emilia-Romagna, zero navette neanche a pagamento in Puglia, Molise o in Calabria.

RAPEZZI (CGIL): ESISTE SOLO L’AUTONOMIA INTEGRATIVA

“Quando si parla di disuguaglianze – riprende Rapezzi – penso all’infanzia: c’è una legge dal 2017 che ha alzato Istruzione al segmento 0/3 anni ma stiamo ancora molto lontani. Noi ci stiamo lavorando ma non basta. Penso al tempo pieno, alla scuola primaria. Il regionalismo ha senso dentro uno Stato se quest’ultimo opera dentro un quadro di implementazione Di risorse per tutti i territori, Si pensi al Green pass e alla differenze.che si stanno generando tra regione e regione. Non ce lo possiamo permettere. L’autonomia non può essere sostitutiva ma integrativa.

Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna si sono spinti molto avanti. In passato fu ipotizzata, anche con toni decisi, da qualche governatore aspirante separatista la volontà di arrangiarsi e di crearsi da soli l’autonomia regionale. Ma non c’è nessun mistero, nessuna alchimia: l’interesse della politica regionale è nella possibilità di gestire i docenti, un esercito che non di rado arriva dal Sud per sfuggire ad un destino di precariato. Entra nelle case delle famiglie. Educa, fa opinione.


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