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Matteo Salvini

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A volte le verità, i pensieri inconfessati, si nascondono nelle pieghe delle parole. Accade durante la conferenza stampa nella sede della Protezione Civile di Marghera, che al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, venga chiesto da un giornalista: “Non ha l’impressione che il tema dell’autonomia non sia una delle priorità del governo Draghi?”.

Il governatore risponde senza pensarci: “Credo che l’autonomia non sia stata nelle priorità di nessun governo, altrimenti ce l’avremmo già… ma se Draghi vuole puntare alla lotta agli sprechi, deve puntare sull’autonomia”. Quindi, secondo Zaia, nessun governo ha fatto dell’autonomia un tema forte, un obiettivo da raggiungere. La frase è rivelatrice della convinzione che neppure il governo giallo-verde, con Lega e Cinquestelle, abbia fatto granchè per tradurre in fatti le intenzioni.

Il famoso referendum che registrò una valanga di voti a favore dell’autonomia del Veneto risale ormai a quattro anni fa, al 22 ottobre 2021, e in Veneto si stanno preparando le celebrazioni, attenti a non confonderle con delle esequie. Da allora si sono succeduti quattro governi: Paolo Gentiloni rimase in carica fino al giugno 2018. Poi toccò a Giuseppe Conte, fino al settembre 2019, con una ministra leghista deputata all’autonomia, la vicentina Erika Stefani.

Proprio in quel periodo il segretario Matteo Salvini stava accelerando sull’apertura nazionale della Lega che si stava trasformando in Lega per Salvini Premier, un partito su misura per le sue ambizioni e da esportazione in Centro e Sud Italia. Non a caso con il 34,92 per cento delle Europee nel maggio 2019, la Lega ha raggiunto il punto più alto del suo successo, tale da illudere Salvini di poter andare alle urne dopo aver fatto cadere il governo.

Il che non avvenne e così è arrivato il Conte II, rimasto in carica fino al febbraio 2021, con un ministro del Pd (Francesco Boccia) che non scansò il problema dell’autonomia, ma indicò per primo l’esigenza di una legge-quadro. Nel governo Draghi il dicastero competente è stato assegnato a Maria Grazia Gelmini di Forza italia, che ha insediato una commissione.

Rispondendo ai giornalisti Zaia ha spiegato ieri che sono aperti tavoli tecnici con il governo, ma si è ancora lontani da una legge-quadro per l’autonomia. Si trova nella stessa situazione in cui si svolgevano le trattative nel governo leghista, quando Salvini non sembrava così entusiasta di fare dell’autonomia una priorità, forse preoccupato per le ricadute negative in termini elettorali al Sud.

Ma questo ripropone la questione delle due Leghe che si sta profilando da qualche mese. A fare da detonatore è stato il Covid, con la linea abbracciata da Salvini sul Green-pass e sui vaccini, non propriamente governativa.

Invece i presidenti leghisti delle Regioni (Veneto, Lombardia e Friuli) hanno imposto una linea di rigore, pur lasciando margini alla libertà vaccinale. Poi sono venuti i distinguo del ministro Giancarlo Giorgetti, che ha preso le distanze da Salvini non solo sul green-pass (sostenendo che è fondamentale per far ripartire la macchina produttiva italiana), ma anche sulle candidature alle elezioni comunali. In particolare ha ammesso che a Milano Giorgio Sala può vincere al primo turno e che a Roma Carlo Calenda sarebbe stato più forte del candidato appoggiato da Lega, Fratelli d’Italia e Forza italia.

La cartina di tornasole del tentativo di riportare la Lega alla sua dimensione di partito del Nord si è avuta durante l’assemblea degli industriali di Vicenza. Vi ha partecipato Zaia che finalmente ha ammesso la verità ormai sotto gli occhi di tutti: “Nella Lega? Le due componenti penso che ci stiano, che possano coesistere, perchè ci sono sempre state. È giusto che ci sia un dibattito, e in questo non ci vedo due Leghe”.

Unità nella diversità, un dato nuovo per un partito da sempre monolitico, anche se non sufficiente a far pensare a fronde interne o a improbabili secessioni. Ha concluso: “Una volta si diceva ‘Lega di lotta e Lega dei tombini’. È vero che poi alla fine la sintesi si fa sempre con i governatori: il documento dei cinque punti sul Covid è una pietra miliare di quella che è la Lega del fare”.


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