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Il senatore Roberto Calderoli

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L’AUTONOMIA bramata ministro agli Affari regionali, Roberto Calderoli, non è ancora arrivata in porto ma già si è deciso quali saranno le prime funzione che Veneto e Lombardia, due delle tre regioni a statuto ordinario che siglarono le pre-intese chiederanno subito allo Stato: le relazioni internazionali e con l’Unione europea; il Commercio con l’estero; la previdenza complementare integrativa e la gestione delle normative correlate agli enti di credito rurale fondiario agrario.

VITTORIA DI PIRRO DI CALDEROLI

“Materie” da trasferire “subito”, cioè all’indomani dell’approvazione del disegno di legge dell’Autonomia differenziata perché non prevedono i Lep. Basterà chiederle al governo per ottenerle. Il passaggio in Parlamento sarà poco meno di una formalità. Tutto questo vuol dire totale autonomia nelle relazioni commerciali, gestioni dei fondi delle principali casse regionali. Ancora non si è spenta l’eco per gli sprechi delle nostre “ambasciatine” regionali all’estero ed ecco che ci risiamo. Per non parlare della diplomazia. Qualcuno ricorda forse i governatori della Liguria Giovanni Toti e il suo omologo lombardo Attilio Fontana impegnati a stringere relazioni con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov pochi giorni prima che scoppiasse la guerra con l’Ucraina. Immaginate quale sarebbe l’effetto di 20 diplomazie “regionali”.

Per poter gestire anche Scuola, Sanità, Trasporti e tutte quelle altre funzioni che richiedono definizione dei Lep i governatori di Veneto e Lombardia dovranno attendere: i Livelli minimi delle prestazioni (Lep) dovranno prima essere definiti e poi approvati con delega del governo, che cosa porterà a casa dunque Calderoli? Una vittoria di Pirro, eppure al tempo stesso un piccolo mostro giuridico, una legge inapplicabile perché insostenibile dal punto di vista economico e soprattutto perché in contrasto con la nostra Costituzione nella quale, è appena il caso di ricordarlo, non si parla di trasferimenti (articolo 116 comme 3) di “materia”, bensì di funzioni amministrative concernenti le materie. E in nessuno si accenna a competenze legislative.

Poiché, però, il ministro leghista ha fretta – le elezioni europee incombono – ecco la legge-quadro giunta all’ultimo miglio. Il ministro sogna una strenna natalizia. E poco importa se per calcolare i Lep servirà una legge, se le risorse non ci sono e forse non ci sarannno mai, a meno che non si decida uno squilibrio generale dei nostri conti pubblici, e se servirà un’altra legge perché il Parlamento approvi le singole intese raggiunte con le Regioni. Il pastrocchio in salsa leghista-autonomista-secessionista è servito.

IL COMITATO CASSESE E LA RIFORMA CALDEROLI

A individuare questo stretto e parziale raggio d’azione, ovvero le funzioni che potrebbero da subito essere trasferite e diventare di competenza regionale, funzioni che non presuppongono dunque la prefigurazione di Lep, è stato il Comitato-tecnico scientifico presieduto dal professor Sabino Cassese e istituito nel marzo scorso con un decreto del Consiglio dei Ministri presso il Ministero degli Affari regionali. Un mezzo assist che rischia di trasformarsi ora in un mezzo flop, visto che sono individuati 223 Lep ma non ancora tutti, al punto che se ne sta incaricando una sottocommissione che dovrà terminare il suo lavoro entro il 31 dicembre.

Per Calderoli è un cerchio che si chiude. Ad aprirlo era stato sempre lui, ridisegnando l’architettura istituzionale con la riforma del Titolo V. La legge delega sul federalismo fiscale è del 2009. Fissava le regole, alcune attuate altre no. Fissava la determinazione dei costi fabbisogni standard, compito della Sose; le modalità del meccanismo perequativo applicato solo a partire dal 2015 per i Comuni delle Regioni a statuto ordinario (ma non le città metropolitane). Potrebbero sembrare discorsi teorici, incidono invece sulla carne viva delle persone e sulla qualità della vita. I fabbisogni standard servono per stimare le necessità dei singoli territori e allocare le risorse per la parte perequativa del fondo di solidarietà comunale. Parliamo di servizi a supporto dell’istruzione, refezione, trasporto scolastico, assistenza e trasporto alunni disabili e, in caso siano previsti, anche i centri estivi.

IL DDL POPOLARE TRA VENETO E LOMBARDIA

Fissato un obiettivo tecnico e politico si dovrà verificare che quel servizio venga effettivamente erogato sul territorio. Prendiamo per esempio gli asili nido: il tetto del 33% nel rapporto tra la popolazione da 0 a 36 mesi e le strutture pubbliche e private operanti sul territorio. Fissare i Lep non vuol dire soltanto garantire le risorse per poi erogare i servizi, ma riconoscere al cittadino il diritto alla prestazione. In altre parole, la piena applicazione del Titolo V, pari diritti e obbligo dei Lep (articolo 117).

Ma Calderoli sogna la Cornovaglia libera (“Libera Cornovaglia, Cornovaglia Libera!” qualcuno forse ricorda quella commedia musicale e quello sceneggiato d’altri tempi, le imprese di “Giovanna la Nonna del Corsaro Nero”, ndc) identificandola nella sua Lombardia (soprattutto) e nel Veneto che lo sostiene. Procede, una seduta dietro l’altra e, a costo di fare le ore piccole, verso l’approvazione del suo “spacca-Italia”. Siamo ormai in dirittura d’arrivo, l’approvazione delle norme transitorie, l’articolo 10, l’ultimo. Nella fretta la commissione Affari costituzionali, a più di tre mesi dall’assegnazione, non ha concluso l’esame del disegno di legge di iniziativa popolare che richiedeva la modifica dell’articolo 116, una correzione particolarmente significativa perché in senso opposto e contrario al ddl Calderoli. Il primo firmatario, il professor Massimo Villone, ha scritto una lettera alla I Commissione di Palazzo Madama ricordando che per le leggi di iniziativa popolare, trascorsi i 3 mesi (art. 74 comma 3) si procede d’ufficio con la calendarizzazione in Aula. Così che il Senato potrebbe trovarsi in teoria a esaminare in contemporanea due testi completamente divergenti. L’ennesimo corto circuito.


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