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La Calabria non è in zona rossa da oggi, lo è da almeno dieci anni. Dieci anni di burocrazia e commissariamenti, di piani di rientro dal debito sanitario e scontri furibondi tra politica e tecnici. Di decreti speciali rinnovati ogni diciotto mesi e una gestione della burocrazia sanitaria impossibile da controllare.

Non è una questione di contagi (che ci sono e preoccupano), o il problema del controllo dei tracciamenti e del numero di posti letto che non soddisfa neanche gli standard basilari dettati dal ministero della Salute. Tutto questo è una conseguenza, un problema radicato dietro le cifre ragionieristiche, i tagli lineari che hanno chiuso reparti e interi ospedali nel corso di un decennio e mandato a casa 3mila 700 operatori sanitari che non sono mai stati rimpiazzati per effetto del blocco del turnover imposto dallo stesso piano di rientro dal debito sanitario.

La Calabria è un buco nero se si guarda ai conti: lo è per l’emigrazione sanitaria, che genera un saldo negativo allo stato attuale fermo sui 278 milioni di euro. Milioni che la Calabria paga ad altre regioni.

Lo è perché due aziende sanitarie, quella di Catanzaro e Reggio Calabria sono state sciolte per infiltrazioni mafiose, per una gestione assurda degli appalti sanitari affidati a ditte in chiaro odore di mafia, per le doppie e triple fatture pagate ai privati e la contabilità creativa che ha generato mostri, per anni di bilanci mai presentati che hanno generato milioni di euro di debito.

Lo è per un’altra azienda, la più grande di tutte, che da anni si ostina a non presentare neanche un bilancio. Solo a Reggio Calabria il volume dei contenziosi sfiora un miliardo di euro. Tutto messo nero su bianco dalla commissione prefettizia che in questo momento sta reggendo l’Azienda sanitaria provinciale.

L’ultima rilevazione sul crack finanziario della sanità calabrese ha certificato un debito di 200 milioni di euro circa, parte del quale non risulta coperto né dal fondo sanitario nazionale né dall’aumento progressivo del gettito fiscale Irap e dall’addizionale Irpef, altra conseguenza puramente punitiva per non essere stati bravi a fare i conti a casa. E poi ci sono i livelli essenziali di assistenza.

In Calabria sono sotto soglia da tempo, a gennaio 2020 finalmente abbiamo raggiunto la soglia dei 162 punti. Una soglia basata su 33 indicatori che raccontano lo stato della sanità in Calabria dai ricoveri agli screening oncologici, passando per l’assistenza alle fasce più deboli. E il fatto che negli anni siano piombati da ministero dell’Economia e della Salute una marea di commissari non ha cambiato le carte in tavola. Perché è la ricetta ad essere sbagliata: investimenti ridotti all’osso e politica al risparmio. È innegabile che lo strumento del commissariamento dopo oltre dieci anni, non abbia prodotto i risultati sperati. Men che meno adesso che la regione si è trovata in mezzo ad una pandemia.

L’ultima riunione interministeriale con l’attuale commissario, il generale Saverio Cotticelli, è finita letteralmente in un bagno di sangue. Una resa dei conti nei confronti dello stesso commissario che non avrebbe fatto quello per il quale era stato mandato da queste parti. Il debito è fermo sui 200 milioni di euro, non tutto coperto dall’aumento delle tasse.

E qui la beffa è doppia: i calabresi pagano tanto per la sanità, ma ricevono sostanzialmente poco o nulla. E tutto è anche frutto di una reiterata politica predatoria e clientelare che ha interessato tutti i colori politici per oltre un decennio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ospedali che chiudono reparti per giorni perché non funziona un ascensore, strutture con 2,5 posti letto ogni 100mila abitanti, ben al di sotto di qualsiasi media nazionale e ritardi sul pagamento dei fornitori che superano ampiamente i tre anni.

Il punto è tutto qui, non sono le eccellenze mediche a mancare in Calabria, spesso infilate in scenari di vera e propria guerra, c’è uno sperpero continuo di risorse e una burocrazia tremenda che tutto fagocita. Anche la nuova proroga al decreto Calabria, che dovrebbe consegnare ulteriori poteri al prossimo commissario (Cotticelli ha già annunciato le sue dimissioni) non fa dormire sonni tranquilli. Ma da questo labirinto del Minotauro fino ad oggi nessuno è riuscito a trovare una via d’uscita.


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