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Il ministro Roberto Speranza

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Scuole d’ogni ordine e grado chiuse. Serrati anche i negozi eccetto quelli che vendono beni di prima necessità. Bar e ristoranti aperti solo per il servizio d’asporto. Tutti gli spostamenti vietati anche all’interno del proprio comune fatte salve ragioni di salute, lavoro o altra necessità.

È opportuno un robusto ripasso delle attività che è possibile svolgere e di quelle che, invece, sono vietate. È opportuno dal momento che l’ordinanza firmata ieri dal ministro della Salute, Roberto Speranza, ha colorato mezza Italia con questa tinta che è ormai sinonimo di restrizioni. Un anno dopo, l’incubo del lockdown torna a minare la già precaria serenità di gran parte degli italiani.

Diventano rosse Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia autonoma di Trento, Friuli Venezia-Giulia, Emilia Romagna, Marche e Puglia, che si vanno ad aggiungere alla Campania e al Molise già rosse. Supplemento di verifica notturno sulla Basilicata, che potrebbe emigrare all’arancione ma anche restare rossa. Passano dal giallo all’arancione la Valle d’Aosta, la Liguria, la Calabria e la Sicilia, insieme a Toscana e Umbria che si trovavano già in questa fascia intermedia.

Buone notizie per Bolzano: da rosso ad arancione. Nessuna Regione in giallo, ma resta in fascia bianca la Sardegna, lontana dalla terraferma non solo geograficamente ma anche in termini di libertà di spostamento.

TERAPIE INTENSIVE SOTTO PRESSIONE

È perentorio il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che nella sua consueta diretta Facebook del venerdì si è così rivolto ai cittadini campani: «I nostri comportamenti devono diventare simili a quelli di marzo dello scorso anno, si sta in casa quando non è assolutamente indispensabile andare fuori. Siamo in guerra, a tanti cittadini non è ancora chiaro, siamo quasi nella situazione in cui in ogni condominio c’è una persona che muore».

Con toni diversi l’allarme arriva anche dall’Istituto superiore di sanità (Iss), che presenta il suo monitoraggio settimanale (LEGGI LA NOTIZIA) definendo «importante» l’incidenza di casi di Covid. Nella settimana dall’1 al 7 marzo i casi settimanali per 100mila abitanti sono stati 225,64 contro i 194,87 per 100mila abitanti del periodo 22-28 febbraio. L’Rt è salito a 1,16 (da 1,06). «Un valore di Rt superiore a 1 indica che l’epidemia è in espansione, con il numero di casi in aumento», segnalano gli esperti.

C’è in particolare un dato a preoccupare: l’occupazione delle terapie intensive sale al 31% contro il 26 della settimana scorsa. Saldo di ingressi e uscite in rianimazione che dal bollettino di ieri risulta di +55, sono invece 409 i nuovi pazienti. 26.824 i nuovi positivi contro i 25.673 di giovedì. Il tasso di positività sale dal 6,9 al 7,2%. Le vittime 380 (+7 rispetto a ieri).

PASQUA IN ROSSO

Questa bulimia di numeri significa che l’attenzione resta altissima. È così anche nel consiglio dei ministri, che ieri ha approvato il nuovo decreto con le misure anti-Covid che sarà in vigore da lunedì prossimo fino al 6 aprile. Italia tutta in zona rossa a Pasqua, Pasquetta e Sabato santo (4, 5 e 3 aprile) ad eccezione di eventuali Regioni in zona bianca (al momento solo la Sardegna).

Resta però consentito in quei tre giorni – così come era nel periodo natalizio – effettuare una visita al giorno all’interno della Regione, massimo in due adulti con minori di 14 anni o disabili o non autosufficienti conviventi, sempre tra le ore 5 e le 22.

A proposito: l’orario di inizio del coprifuoco non è stato anticipato di due o tre ore come era trapelato nei giorni scorsi. Visitare case private non sarà però possibile dal 15 marzo al 2 aprile e il 6 aprile a chi si trova in zona rossa.

In questi giorni le Regioni gialle diventeranno arancioni, e dunque qui sarà possibile una visita al giorno con le stesse limitazioni di Pasqua, ma solo all’interno del territorio comunale.

LA CONSULTA BACCHETTA LE REGIONI

Ieri sera, intanto, la Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 24 febbraio nell’ambito del ricorso presentato dal governo Conte contro la legge della Valle d’Aosta di tre mesi fa, con cui ha sancito che spetta allo Stato, e non alle Regioni, decidere sulle misure per far fronte alla pandemia. La Consulta ha rilevato che le autonomie regionali «non sono estranee alla gestione delle crisi emergenziali in materia sanitaria», ma «nei limiti in cui esse si inseriscono armonicamente nel quadro delle misure straordinarie adottate a livello nazionale, stante il grave pericolo per l’incolumità pubblica».


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