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Simone Togni è il presidente dell’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento. Rappresenta 70 aziende e circa 2.000 soggetti tra produttori e operatori che ormai da anni sono costretti ad andare in direzione ostinata e contraria. “Controvento”, verrebbe da dire, per restare in argomento.

Presidente Togni, ottenere le autorizzazioni per realizzare i vostri impianti rimane sempre molto complicato. Con il Decreto energia emesso lunedì scorso il percorso si è semplificato. Cambierà qualcosa?

«Vorrei pensarla come lei ma non è così. Le semplificazioni varate dal governo non funzionano per il settore eolico, purtroppo. Gli impianti eolici, ma anche il fotovoltaico, hanno come problema principale quello delle Sovrintendenze. Noi abbiamo un 97% di pareri negativi, 9 mila Megawatt di progetti per energie rinnovabili in attesa di autorizzazione. E su questi progetti c’è regolarmente il parere negativo del ministero delle Cultura (Mic)».

Pareri motivati, però.

«In qualche caso in maniera motivata, in altri la motivazione è un copia-incolla e si riferisce alla vicinanza di beni da tutelare che non vengono indicati o a generici richiami a impatti paesaggistici. Vorrei ricordare che la normativa europea prevede l’obbligo di motivazione circostanziata. Non del vincolo. Non basta dire: “C’è un reperto archeologico, chessò, a 10 km…”, bisogna anche indicare come rendere compatibile il progetto con quel tipo di vincolo. Si deve spiegare anche come si può fare senza impattare. Questo dice la normativa europea. E questo fa sì che, a fronte di dinieghi ripetuti, i soggetti proponenti ricorrano alla giustizia amministrativa o alla remissione della pratica alla presidenza del Consiglio dei ministri».

Un classico italiano. E come finisce?

«Nella stragrande maggioranza dei casi, diciamo circa l’80%, arriva l’autorizzazione e viene smentito il parere negativo del ministero».

Nel frattempo quanto tempo passa?

«Mediamente 3 o 4 anni che si aggiungono ai 5 anni di iter autorizzativo normale. Evidente che alla fine di questo periodo spesso venga meno l’interesse dell’imprenditore a realizzare il progetto. A volte ha persino cambiato attività. Oppure – è successo anche questo – non si poteva più realizzare perché quel materiale o quella componente era diventato obsoleto ed è uscito di produzione. E quando avviene questo bisogna ricominciare l’iter autorizzativo da capo».

Altro che semplificazioni…

«Una follia. Perché se fossimo noi a sbagliare, se i progetti dei miei associati non fossero coerenti con quelli che sono i vincoli paesaggistici e archeologici di questo Paese, che, banale dirlo, è il più bello del mondo e nessuno vuole rovinarlo, ne prenderei atto. Il fatto è che, però, nel contenzioso il più delle volte i giudici amministrativi e il Cdm ci danno ragione. Questo vuol dire che la norma viene in modo contrario a quelli che sono i criteri oggettivi. Il Consiglio dei ministri negli ultimi mesi ha analizzato 10 dei 100 progetti bloccati dalle Sovrintendenze e su tutti e 10 ha dato parere positivo, rovesciando il parere del ministero di Franceschini».

Novanta progetti bloccati?

«Esatto, al Dipartimento della presidenza del Consiglio che ha il compito di redigere un’istruttoria. E tutti bloccati perché uno dei 40 pareri necessari per l’autorizzazione è negativo».

Facile immaginare quale.

«Quello del sovrintendente. E da solo basta per fermare la Via (Valutazione impatto ambientale). Chi ha le competenze per verificarlo? E se anche fosse, lei crede che in un momento così delicato per il nostro pianeta i nostri ministri, gli stessi che dovranno votare a favore o contro i progetti, si debbano mettere a fare questo?».

Avete chiesto un incontro?

«Sì, certo. L’ho chiesto personalmente alla Sovrintendente nazionale, Federica Galloni. E ho posto un problema specifico. “Sovrintendente – le ho detto – noi presentiamo i progetti e voi li bocciate. Così che noi, per difenderci, presentiamo i ricorsi e li vinciamo quasi sempre. Non crede – le ho detto – che sarebbe più corretto per tutti, visto che nel frattempo si perdono anni e vista la situazione attuale, definire, come si fa in gran parte del mondo, dei criteri progettuali oggettivi? Come volete che i parchi eolici si facciano? E dove volete che si facciano? Non sarebbe meglio risparmiare soldi e tempo?”».

La sovrintendente Galloni è un’eccellenza del ministero. Un’autorità in materia di tutela dei Beni archeologici. Cosa vi ha risposto?

«Di continuare a fare come abbiamo sempre fatto. E allora io ho replicato: ci dica come volete che si facciano e noi lo faremo…».

Controreplica?

«”Noi non vogliamo che si facciano”, questo mi ha detto la Galloni».

Aggiungiamo che burocrazia e lentezza delle Regioni non aiutano. Ma ora con il Dl Energia dovranno emettere il loro parere entro e non oltre i 60 giorni.

«Di questo sono meno convinto. Perché, mi chiedo, se le Valutazioni di impatto ambientale non arrivano come facciano a dire che le Regioni in un secondo momento le bloccheranno? È uno scaricabarile su un problema che forse ancora non c’è. Senza dire che il Mite da qualche tempo è bloccato anche per l’hackeraggio del sito. Al punto che una delle risposte che la Galloni ha dato di recente durante una audizione in Parlamento è stata che loro sarebbero pronti ma il sito purtroppo è bloccato da un mese».

Lei se la prende con la Galloni. Diciamo pure però che dopo la Via i provvedimenti vanno inviati alle Regioni e inizia un iter autorizzativo che prevede ben 11 passaggi.

«Sì, infatti, ma, contrariamente a quello che qualcuno pensava, il rilascio della Via da parte della presidenza del Consiglio non è sufficiente».

Come se ne esce, allora?

«Applicando la normativa europea. Il Mic non si deve esprimere sempre. La Direttiva europea dice che le Sovrintendenze vanno chiamate in causa solo quando si tratta di un’area vincolata, incompatibile con la realizzazione dell’opera, negli altri casi no. Noi invece la chiamiamo in causa sempre e comunque e rendiamo quel parere vincolante. È cosi difficile applicarla?».


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