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Danni da maltempo in Toscana

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SI FA presto a dire “calamità naturale”: gli enti locali, la Regione Toscana e i Comuni, avevano individuato da tempo i piani e gli interventi, grandi e piccoli, necessari per evitare le esondazioni, l’alluvione e gli allagamenti che hanno causato morti e danni incalcolabili. Il ministero dell’Ambiente e della sicurezza aveva previsto un elenco di misure per la gestione del rischio alluvionale e per la riduzione del rischio idrogeologico. Progetti che in alcuni casi risalgono al 2019 e che sono finiti – fatalmente – tra i 220mila progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Progetti che, in sede di attuazione e rendicontazione – citiamo l’Osservatorio di monitoraggio del Pnrr Open Polis – erano stati avviati molto prima del Piano e che «pur essendo incardinati in amministrazioni centrali ricadono nella competenza di moltissimi soggetti attuatori».

I PIANI ANTI ALLUVIONE NEI CASSETTI DEGLI ENTI LOCALI

Sono finiti, insomma, nel grande calderone del Pnrr. Non avevano sin dall’inizio le condizioni per poter essere finanziati con il Piano europeo, avevano mostrato criticità di vari ordine e grado, eppure ci sono finiti lo stesso. Alcuni non erano stati mai progettati. Deriva da qui l’inevitabile soluzione di proporre il definanziamento, pur facendo questi progetti parte della missione 2 (componente 4: mitigazione dei rischi, interventi di prevenzione e di ripristino). Più che un definanziamento si è trattato dunque di un tentativo di salvataggio in corner dirottandoli e facendoli dipendere da altre risorse. Messi insieme, secondo il Consiglio nazionale degli ingegneri, fanno ben 1,287 miliardi (dei circa 15 miliardi rimodulati destinati al contrasto del dissesto idrogeologico). Piccoli e medi progetti anti alluvione, piani che gli enti locali, le Regioni e i Comuni, avevano nei cassetti da tempo perché impossibilitati o incapaci di portarli a termine. Da qui la scelta obbligata di rimodularli. Il Pnrr in origine prevedeva 2,49 miliardi di interventi contro il dissesto idrogeologico, di questi 1,15 già assegnati. La parte del leone la fa l’Emilia-Romagna con 222 progetti, per un valore complessivo di 97 milioni di euro. Lombardia e Toscana seguono a ruota con le province di Siena e Pistoia Ma nell’elenco delle piccole opere stralciate c’è anche Prato, un territorio fragile. Messa in sicurezza di ponti, lavori di svuotamento e ricostruzione, sbarramenti. Progetti stornati, non completati, rispediti al mittente ed elencati in foglio “Excel”.

LE INEFFICIENZE DEGLI ENTI LOCALI

«Quelli minimali sono tornati di competenza delle piccole amministrazioni, quelli più grandi sono stati stralciati perché le opere non sarebbero state completate nei tempi previsti»: così riassume la situazione Domenico Perrini, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri italiani. Gli enti locali registrati sulla piattaforma Rendis, che elenca gli interventi necessari per i piani la difesa del suolo, non solo quindi dagli alluvioni, ha calcolato che per mettere in sicurezza l’Italia servirebbero ben 26,58 miliardi di euro. Una cifra astronomica, ma molto attendibile. La scheda tecnica è stata elaborata dal Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri. «Più si va avanti nel tempo e più si rimandano gli interventi e più la cifra cresce, è una catena di Sant’Antonio – commenta il presidente del Cni – Programmazione e controllo sono in capo agli enti locali che si trovano a gestire contemporaneamente progettazione, programmazione e controllo: è un gatto che si morde la coda.

I Comuni non hanno le capacità tecniche per portare avanti i progetti. Anche quelli meglio amministrati dell’Emilia-Romagna e della Toscana sono andati in difficoltà, non hanno l’organizzazione tecnica necessaria per portare avanti i lavori. Da qui la preoccupazione del legislatore, impossibilitato a rendicontare e a ultimare le opere nei termini stretti previsti dal Pnrr». Tempi lunghissimi – la durata media è di 4,8 anni – procedure lumaca, carenza di personale, un totale non allineamento con il Next generation Ue. Risultato: lo stralcio delle piccole e medie opere, la rimodulazione contando sui Fondi di coesione e su altre risorse che forse, chissà, un giorno arriveranno per grazia ricevuta. Gli edifici in zone alluvionali che possono considerarsi a rischio sono 2,1 milioni. Un’indagine conoscitiva della Corte dei conti nel 2021 aveva già rilevato tutto questo. La debolezza dei soggetti attuatori e dei commissari/presidenti delle regioni, le difficoltà degli organi amministrativi a contrastare il dissesto e, più in generale, l’assenza di un’efficacia politica nazionale.

«Alla base – riprende Perrini – ci sono le difficoltà dei Comuni italiani, alcuni dei quali hanno ereditato anche le competenze delle ex province, trovandosi a gestire contemporaneamente le strade, le scuole e la manutenzione del territorio».

LA RIMODULAZIONE E L’AUMENTO DEI COSTI

Le norme serrate che sono state imposte da Bruxelles spingono Regioni e Comuni a dirottare i progetti che non sono stati in grado di realizzare per tempo, a dirottarli su forme di finanziamento alternative e meno vincolanti. L’articolo 18 del regolamento europeo fissa infatti come data ultimativa dei lavori il 31 dicembre del 2026. La rimodulazione è dipesa anche da un ulteriore fattore: l’aumento dei costi. Quando il governo, in fase di ricognizione, si è trovato a ricalcolare i prezzi delle materie prime e delle energie, i conti sono saltati.

Lì dove era previsto un semplice intervento del costo di qualche decina di migliaia di euro, come per esempio il rifacimento degli argini di un torrente, i costi si sono raddoppiati. Carichi amministrativi, scarsità di personale qualificato e ritardi hanno fatto il resto. Un concentrato di responsabilità. Senza dire che le cause del dissesto sono cementificazione, deforestazione, abusivismo edilizio, abbandono dei terreni d’altura, scavo di cave, tecniche di coltura non eco sostenibili, estrazioni di idrocarburi e di acqua dal sottosuolo. Nel fango quasi mai ci si finisce per caso.


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