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L’accordo sul trasporto pubblico locale in occasione della riapertura delle scuole ancora non c’è. Le regioni chiedono di cambiare le regole sul distanziamento dettato dal Comitato tecnico scientifico. Com’era prevedibile, visto che il limite del 60% di capienza previsto ad aprile scontenta proprio i governatori, che vorrebbero innalzarlo all’80%.

Il punto d’incontro che il Cts sarebbe forse disposto ad accettare potrebbe essere quello di un riempimento di pullman, bus e metropolitane al 75%, proprio per andare incontro alle richieste degli enti locali, schierati contro percentuali più basse che non assicurerebbero un servizio sufficiente a tutti gli studenti e rischierebbero di lasciarne a piedi almeno la metà.

L’ipotesi, annunciata dalla ministra De Micheli, di ampliare il concetto di congiunto ai compagni di classe e colleghi di lavoro non convince molto.

VERSO LA CONFERENZA STRAORDINARIA

Il lavoro proseguirà comunque tutto il weekend e vedrà impegnati Regioni ed enti locali, Mit e Cts per chiudere linee guida condivise sulla sicurezza sanitaria nel tpl e andare all’approvazione lunedì, giorno in cui è prevista la conferenza unificata straordinaria sul tema.

Se quasi tutte le regioni, in ogni modo, spingono per far passare posizioni più realistiche rispetto alla propria capacità di trasporto degli studenti nelle ore di punta – salvaguardando quanto più possibile le necessarie distanze di sicurezza – diseguaglianza e disomogeneità di infrastrutture e mezzi aggravano le differenze territoriali in tema di servizi all’istruzione tra Nord e Sud, messe più volte in luce dai numeri della contabilità pubblica e dagli studi di settore.

Sotto Covid, e in occasione del ritorno a scuola (ma anche negli uffici), si “scopre”, stavolta con la grande preoccupazione legata a nuovi, possibili contagi, la sperequazione tra regioni del Sud e resto dell’Italia. Non solo per quanto riguarda i collegamenti veloci tra una regione e l’altra, ma anche rispetto alle risorse che ciascuna regione può permettersi di destinare al proprio trasporto pubblico locale, dunque ai servizi di mobilità dedicati alla vita quotidiana dei propri residenti.

GAP NORD/SUD

Ecco perché la differenza la fanno i fondi con cui ciascuna regione deve fare i conti per redistribuire quanto basta alle proprie Province e ai propri Comuni, una volta ricevuto il finanziamento per questo servizio da parte dello Stato.

«Considerando le risorse di cui dispongono – spiega la Fondazione Openpolis – tutte le amministrazioni locali possono destinare parte dei rispettivi bilanci a interventi per la mobilità pubblica. Nel caso degli enti comunali, la voce dedicata al trasporto pubblico locale comprende le spese per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture per il trasporto urbano ed extraurbano: su gomma, autofiloviario, metropolitano, tranviario e funiviario. Sono incluse inoltre le spese per la vigilanza dell’utenza e quelle per la gestione e il monitoraggio dei contratti di servizio con gli enti e le società affidatarie».

Ebbene, secondo Openpolis, «Milano risulta il primo capoluogo per offerta del servizio, con 16.218 posti per abitante, seguita da Venezia e Brescia. Al Sud, invece emerge Cagliari, quarta con 7.230 posti. Complessivamente, i capoluoghi di provincia del Nord riescono a offrire una maggiore copertura rispetto a quelli del sud, suggerendo una discrepanza tra le due aree del Paese».

Lo studio ha preso in considerazione l’importanza di questo settore per gli spostamenti all’interno delle città per esaminare la spesa pro capite 2017 dei Comuni più popolosi d’Italia finalizzata a sostenere la mobilità pubblica sul proprio territorio.

I risultati sono, come anticipato, in linea con una sperequazione Nord/Sud che non sorprende affatto, visto che appare assolutamente in linea con la spesa pro capite dello Stato italiano in tutti i settori strategici come sanità, ambiente, scuola e – appunto – mobilità.

I DATI DEI CONTI PUBBLICI TERRITORIALI

Proprio su quest’ultima, la relazione 2019 sui Conti pubblici territoriali, a cura dell’Agenzia per la coesione territoriale, ha messo in evidenza gli oltre 900 euro di spesa pro capite per il Friuli Venezia Giulia, a fronte della Puglia che non raggiunge i 400 euro e la Sicilia che li supera appena. E ancora: il bilancio di previsione delle singole regioni per l’anno 2019 indica la spesa per i trasporti del Veneto a 860 milioni di euro e del Piemonte a 747, contro i 499 della Puglia.

A far riflettere è anche la simulazione fatta dai rappresentanti del settore tpl. «Per soddisfare una domanda attesa di mobilità pari all’85% rispetto al pre-Covid sarebbe necessario un incremento del 70% in urbano e 42% in extraurbano delle percorrenze chilometriche, con un fabbisogno di autobus e personale di guida insostenibile, che nelle ore di punta richiederebbe circa 19.400 autobus aggiuntivi e 31.000 conducenti, per un costo complessivo di 1,6 miliardi di euro», prevede lo studio di Asstra, l’associazione che riunisce le aziende di trasporto pubblico locale.

Nei calcoli dell’associazione, rispetto all’attuale quota del 60%, ogni punto di aumento della capienza dei mezzi consentirebbe risparmi complessivi per il sistema pari a 40 milioni.

CAOS GENERALIZZATO

In queste ore, intanto, il governatore della Campania, De Luca annuncia sui social per la prossima settimana una riunione col mondo dei trasporti per mettere in campo l’ipotesi di una convenzione con il mondo del trasporto privato e assicurare un numero maggiore di mezzi in occasione della riapertura della scuola.

Mentre la Liguria chiede l’autorizzazione a occupare l’80% della capacità di carico dei mezzi pubblici ed anche qui si studia la possibilità di utilizzare nelle reti provinciali mezzi di trasporto privati per agevolare i Comuni dell’entroterra più difficilmente raggiungibili, in attesa che le aziende di trasporto pubblico locale si dotino dei mezzi necessari.

Un’indicazione che mette in luce una volta di più la diversità geografica all’interno delle stesse regioni e delle “aree interne” presenti soprattutto, ma non solo, nel Meridione. Le quali, se offrono la possibilità di spazi più adeguati per i distanziamenti all’interno degli stessi edifici scolastici, avrebbero bisogno di investimenti e politiche più eque.


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