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Antonio Nicaso

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L’analisi di Antonio Nicaso sull’evoluzione degli ‘ndranghetisti che non puntano più sul territorio bensì sul potere economico e politico

Lo “sguardo presbite” della ‘ndrangheta e quello miope dei legislatori. Un anno fa, con “Complici e colpevoli”, si sono concentrati sul Nord Italia. Nel loro nuovo libro, l’analisi del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, e dello storico delle mafie Antonio Nicaso, si spinge “Fuori dai confini”.

Sotto la lente sempre la ‘ndrangheta, l’unica organizzazione criminale ad essere presente in tutti i continenti, e la sua espansione in quelle che una volta venivano chiamate le “aree non tradizionali” per distinguerle dai territori della genesi storica delle mafie. La tesi di fondo di “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo”, 143 pagine che si leggono tutte d’un fiato, pubblicate da Mondadori, è che nessun Paese è immune da quello che non può più essere equiparabile a una patologia contagiosa, come non sono immuni i sistemi politici e istituzionali.

Le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale in Germania, per esempio, sono possibili perché là le intercettazioni sono quasi sconosciute ed è più facile riciclare soldi sporchi che in Italia, dove gli accertamenti patrimoniali delle forze dell’ordine sono più stringenti. Una mafia, quella calabrese, sempre più deterritorializzata e dallo «sguardo presbite», ma se questo fa parte da tempo del dominio conoscitivo di magistrati e studiosi del calibro degli autori del libro, non lo è per il legislatore.

Né quello italiano né quello europeo né quello del resto del mondo. Chi non vuole capire che le mafie che non sparano sono quelle più sul pezzo, perché si si aggiornano, si ramificano e sono figlie del loro tempo, un tempo fatto di interconnessioni e social media, e per questo non sono meno pericolose di quelle sanguinarie che tengono sotto scacco interi territori del Meridione d’Italia, non ha colto che c’è un fenomeno che chiama in causa proprio giurisdizioni opache e non in grado di contrastare, attraverso adeguati strumenti normativi, l’occultamento di ingenti flussi finanziari e dei loro titolari effettivi.

Non a caso il libro si conclude con l’immagine, descritta da David Foster Wallace, del pesce anziano che va nella direzione opposta di due pesci giovani e chiede com’è l’acqua, mentre quelli giovani si fermano e rispondono: «Che cavolo è l’acqua?». Una metafora per rappresentare l’assuefazione dei mercati ai capitali mafiosi, ormai componente strutturale del capitalismo globale. Anche se Nicaso e Gratteri sembrano proprio non credere all’inconsapevolezza dei mercati, perché i soldi delle mafie sono parte integrante dell’economia globale. Ne abbiamo parlato con il professor Nicaso.

La strategia del basso profilo viene ripercorsa meravigliosamente nel libro. La tesi è quella di una ‘ndrangheta affaristica, che si muove sotto traccia e manda le giovani leve a studiare nelle migliori università italiane e del mondo perché possano servire al meglio l’organizzazione criminale. Professore, in che consiste lo “sguardo presbite” della ‘ndrangheta?
«Lo sguardo presbite è quello con cui la ‘ndrangheta acquisisce tutte le competenze necessarie per affrontare le nuove sfide. Mandare i figli alle università è più una metafora del futuro, di una possibile svolta, delle capacità di adattamento. Pensiamo al cyber space e ai profitti che genera. Prima o poi ci sarà una forma ibrida di criminalità organizzata che porterà gli ‘ndranghetisti a ragionare non più in termini di territorio ma di acquisizione di potere economico e politico grazie alla possibilità di entrare nei meandri del dark web. Penso ad una mafia capace di guardare lontano e di tenere conto delle nuove opportunità, per esempio le droghe sintetiche e il reinvestimento dei proventi in giurisdizioni opache. Lo stanno già facendo, gli ‘ndranghetisti, con applicazioni che si fanno costruire da tecnici informatici, con la criptofonia. La Dia dice che la ‘ndrangheta è la mafia che più di ogni altra si è adeguata alla rivoluzione digitale. Ecco perché bisogna attrezzarsi nell’azione di contrasto, non si fa più i conti con un’organizzazione che si muove in un territorio ristretto».

Se la ‘ndrangheta è presbite, il libro chiama in causa legislatori quantomeno miopi di fronte a una ‘ndrangheta che centellina la violenza, quindi desta meno allarme sociale, ma riesce a occultare i propri capitali nelle piazze finanziarie off-shore e a infiltrarsi nel tessuto socio-economico di Paesi sforniti di norme antiriciclaggio stringenti come quelle italiane…
«Se le mafie si sono globalizzate è perché l’azione di contrasto non ha fatto altrettanto. Il problema di fondo è questo. L’Italia ha gli strumenti per combattere il fenomeno, anche se andrebbero migliorati, ma molti altri Paesi non hanno gli strumenti né la capacità analitica per comprendere la pericolosità del fenomeno. Se la ‘ndrangheta spara di meno, ed è sempre meno violenta, diventa difficile convincere un legislatore a combattere un fenomeno che non si percepisce o non si vuole percepire. Questo è un grande problema in Europa, dove si confisca meno dell’uno per cento della ricchezza criminale delle mafie. Eppure se facciamo una mappatura della ‘ndrangheta, la troviamo in una quarantina di Paesi. Nonostante l’iniziativa dell’Interpol, non c’è grande volontà politica perché il progetto è finanziato solo dall’Italia, anche se molti Paesi hanno aderito».

Il modello italiano nell’attacco globale alla ‘ndrangheta continuerà ad essere tale dopo la stretta sulle intercettazioni e sul contante?
«La ‘ndrangheta quando fa riciclaggio non tiene conto di piccole modifiche normative, se si alza la soglia del contante questo può aiutare qualche piccolo trafficante, le grandi manovre si fanno nei Paesi che ancora tengono in piedi società di comodo o non hanno registri dei proprietari degli investimenti. L’Italia sta diventando sempre più periferica negli investimenti della ‘ndrangheta, in Calabria restano le briciole che rischiano di diventare briciole nel resto d’Italia perché le mafie hanno capito che è più vantaggioso investire all’estero, dove si trovano sempre meno ostacoli. All’estero la presenza dei broker della ‘ndrangheta è sempre più massiccia».

Il libro si apre con un capitolo sull’Ucraina. Dopo la guerra, le cosche avranno più armi? La ‘ndrangheta sta già sfruttando la crisi?
«Questo non è possibile ancora stabilirlo, ma alla luce di quanto le cosche hanno fatto in passato c’è il rischio che le armi possano finire nelle mani dei trafficanti e di chi le andrà eventualmente ad acquistare e utilizzare. C’è un allarme per evitare che possa ripetersi ciò che accadde alla fine della guerra nell’ex Jugoslavia, quando gli ‘ndranghetisti acquistarono plastico e kalashnikov tramite mediatori della Sacra corona unita in Montenegro. Il rischio è concreto perché durante la guerra russo-ucraina armi potenti sono finite in mano a persone che fino ad un anno fa facevano tutt’altro, magari erano professionisti o giovani disoccupati».

C’è anche un capitolo sulla Triple Frontera, luogo paradisiaco ma anche zona franca per le attività criminali, dove la ‘ndrangheta è sbarcata da tempo perché non si accontenta di essere l’interlocutore privilegiato dei narcos colombiani…
«La ‘ndrangheta ha rapporti con tutti, soprattutto con il Primeiro Comando da Capital, organizzazione che sta acquisendo sempre maggiore potere in America Latina, e da organizzazione carceraria si sta espandendo dappertutto. Nella Triple Frontera si saldano alleanze, si trovano investitori e riciclatori di denaro, si trovano armi, è una zona franca per tutti coloro che hanno necessità di acquistare cocaina o precursori chimici per droghe sintetiche, è uno di quei posti dove chi ha potere e denaro non può non esserci, perché la si creano fortune economiche».

Uno degli affari principali delle holding dell’illecito è quello del gaming. Il paradiso fiscale Malta è sempre più spesso la sede delle piattaforme del gioco d’azzardo online controllato dalla ‘ndrangheta…
«Questa è una delle prospettive del mondo digitale, ed è emersa con grande evidenza. Le bische di una volta sono divenute private room nei siti online, videopoker in cui si gioca virtualmente attraverso hacker. Insieme alle scommesse clandestine è una di quelle cose che la ‘ndrangheta ha abbracciato subito, senza remore, utilizzando piattaforme per il gioco d’azzardo. Sono prospettive che fanno fare soldi da portare poi alla luce per cui bisogna muoversi anche off line. Le mafie che immaginiamo sono quelle che hanno un piede off line e l’altro on line, coniugano spazio reale e virtuale e Malta offre l’opportunità di rastrellare soldi. Ma se è possibile giocare o scommettere dal mondo virtuale, a portare in superficie i soldi spesso sono professionisti che garantiscono questo servizio o banche che nascono e muoiono nel giro di una settimana».

Nel capitolo su ‘ndrangheta e realtà virtuale si analizza, tra l’altro, il fenomeno dei neomelodici e dei trapper che simpatizzano con disvalori legati al mondo criminale totalizzando migliaia di visualizzazioni. Si ricorda anche che il procuratore Gratteri, subito dopo la maxi operazione di Cosenza con 200 arresti, è stato minacciato di morte durante una diretta su Tik Tok. I social vengono però utilizzati dalle mafie anche per esteriorizzare potenza attraverso lo sfoggio delle loro ricchezze. Cosa si cela dietro questa nuova autonarrazione della ‘ndrangheta?
«Le nuove generazioni non sono quelle che avevano paura di portarsi dietro il telefonino pensando di avere un carabiniere in tasca, ma utilizzano i social media, smanettano sulle tastiere dei pc, hanno un profilo Facebook e minacciano su Tik Tok. Cose impensabili in passato, ma oggi sono realtà concreta. I mime sostituiranno i pizzini, gli emoji sostituiranno le lettere minatorie. In un mondo in evoluzione anche gli ‘ndranghetisti dovranno inventarsi una nuova narrazione, ma la strategia coagulante resterà sempre quella di creare consenso, senso d’identità e appartenenza».

Il dark web, con la consegna delle droghe sintetiche a domicilio, fenomeno accentuatosi dopo il lockdown, è la nuova frontiera? La ‘ndrangheta globale ha fiutato anche questo affare?
«Il dark web garantisce introiti straordinari, c’è attenzione delle grandi mafie che durante la pandemia hanno sfruttato le nuove tecnologie per vendere prodotti e servizi illegali. C’è da dire che le forze dell’ordine si stanno attrezzando e le polizie postali di tutto il mondo stanno rafforzando i loro ranghi perché è cambiato il protocollo investigativo e non si possono più fare indagini senza social media, ormai si seguono le foto postate su Fb anziché fare servizi di pedinamento. Con l’arrivo del metaverso i mafiosi potranno essere rappresentati da avatar nelle riunioni e organizzare spedizioni di droga dal proprio divano. Ma se il broker è rimasto sul divano e ha partecipato a una riunione virtuale un avatar, come si farà a stanarli, quando gli ‘ndranghetisti dialogheranno tramite piattaforme che consentono di interagire in sicurezza? Ecco perché bisogna avere lo sguardo presbite. Ma sul piano politico si sta tornando indietro perché si stanno mettendo in discussione misure che sembravano acquisite, consolidate ed efficaci nella lotta contro la criminalità mafiosa».


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