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Pietro Salini

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Parte dal Sud la riapertura dei cantieri dopo due mesi di lockdown imposto dal Covid 19. Ieri, a Francavilla Marittima, in provincia di Cosenza, la posa della prima pietra di del Megalotto 3 della Strada Statale Jonica “106”, la strada della morte, che arriva a oltre dieci anni dall’avvio dell’iter procedurale (LEGGI). L’opera “correrà” per 38 chilometri tra Sibari e Roseto Caposculico, per un costo di circa 980 milioni. Sarà realizzata dal Gruppo Webuild nell’ambito di “Progetto Italia”, guidato da Pietro Salini.

Salini, dovremo aspettare altri 10 anni per vederla completata?

«Noi tutti ci auguriamo di no. Questo Paese sta imparando che le opere si possono fare rapidamente e con grande qualità, come il ponte di Genova sta dimostrando. La posa della prima pietra di questo progetto coincide con la consegna dei lavori, la cui durata prevista è di meno di sette anni, e noi ci impegniamo a realizzare l’opera nei tempi previsti, augurandoci di non dover incorrere in lungaggini burocratiche. La necessità del Paese oggi è pianificare e realizzare opere in tempi rapidi, semplificando i processi e garantendo liquidità alle imprese che lavorano bene. Tanti progetti sono già pronti sulla carta e le risorse economiche ci sono per farle partire subito, dagli ospedali, alla manutenzione delle strade, dalle nuove metropolitane alle nuove ferrovie. Mettiamo subito questi fondi già disponibili su progetti pronti per dare lavoro e, con esso, fiducia agli italiani in questo mo mento di profonda crisi economica. Mettendo la sicurezza al primo posto, e se questo virus ci ha tolto certezze dobbiamo dare risposte al terrore nel futuro con il lavoro. Solo in questo cantiere lavoreranno con noi 1.500 persone».

Fra il 2011 e il 2015 la spesa per le infrastrutture nel Mezzogiorno è stata praticamente azzerata, riducendosi allo 0,15% del Pil.

«L’Italia è uno dei Paesi che investe di meno in infrastrutture: solo il 2% del Prodotto interno lordo viene investito su infrastrutture, che poi sono le opere che migliorano la vita dei cittadini, a fronte dell’8,3% della Cina o del 5,6% dell’India. Ma è arrivato il momento dei fatti, non possiamo perdere un minuto se pensiamo che il 10% del Pil italiano andrà bruciato nel 2020. Per rilanciare l’Italia ci serve un piano da 100 miliardi di euro, per fare scuole, ospedali, manutenere le infrastrutture esistenti. I fondi ci sono, non abbiamo scuse. Oggi abbiamo 28 miliardi di euro del Fondo di Coesione immediatamente spendibili, e sono cassa vera, che potremmo utilizzare immediatamente per far partire le infrastrutture e con esse creare nuova occupazione, la reale emergenza del nostro Paese. Ci sono opere già pianificate e a volte pronte con progetti esecutivi, cantierabili già nel 2020/2021. Negli ultimi anni abbiamo speso solo 5 miliardi sui 30 disponibili, bisogna spendere la parte restante entro il 2022 per evitare che queste risorse vadano perse. L’Europa, inoltre, ci sta dando molte risorse, e se per anni ci siamo trincerati dietro i vincoli comunitari e il rispetto dei parametri di bilancio, adesso queste ragioni sono saltate, Bruxelles non ci impone più il rispetto del Patto di Stabilità, ci sono i fondi del Mes. L’importante è non perdere tempo: quello che deve essere fatto deve essere deciso e speso da qui a fine anno, non oltre».

Cosa pensa del progetto di unire le aree metropolitane di Napoli e Bari, e Taranto e Gioia Tauro? Lo ritiene realizzabile?

«È un progetto molto importante e il nostro Gruppo è già all’opera su alcune tratte, stimolando crescita e lavoro in territori che non offrono troppe opportunità ai loro giovani. La linea ferroviaria AV/AC Napoli-Bari punta a un aumento generalizzato dell’offerta del servizio ferroviario nell’intero Mezzogiorno migliorando la competitività del trasporto su ferro rispetto a quello su gomma. Di questa opera sono stati già appaltati quattro lotti due dei quali, la Napoli-Cancello ed Apice-Hirpinia vedono come affidatario il nostro Gruppo: il primo lotto è in fase di realizzazione mentre per il secondo è stata già completata la progettazione esecutiva e l’inizio dei lavori è previsto per il prossimo autunno».

Il Paese ha bisogno del “Modello Genova” per far superare le pastoie burocratiche e far ripartire i cantieri?

«In molti parlano di miracolo, ma quello di Genova è un modello replicabile in tutta Italia grazie a un grande lavoro di squadra. A Genova le istituzioni hanno fatto un ottimo lavoro, e il Commissario ha utilizzato le procedure ordinarie, non quelle straordinarie, comportandosi da manager e facendo ciò che il committente deve fare, cioè prendere le decisioni per facilitare la costruzione dell’opera. Applichiamo il modello Genova a progetti attivabili da subito, come l’Alta Velocità Padova -Verona, ferma da anni, o l’alta velocità Genova- Milano, progetto datato al 1992. Mettiamo subito le risorse già disponibili su progetti pronti per ripartire con produzione ed occupazione, cogliendo l’opportunità di spingere il cambiamento in Italia. Trasformare gli investimenti in infrastrutture in una strategia di lungo termine rappresenta un’occasione di crescita per la nostra economia».

Non crede che sia necessario un piano di unificazione infrastrutturale del Paese?

«La nostra proposta per la “Fase due” ruota proprio attorno a un nuovo rilancio delle infrastrutture come volano per la crescita economica, per la creazione di nuovi posti di lavoro e per l’ammodernamento del Paese, da Nord a Sud. Il nostro programma si articola in una serie di interventi per la realizzazione di ospedali, scuole, penitenziari; interventi di manutenzione su tutte le infrastrutture italiane; un piano di breve-medio termine per sbloccare nel 2020 grandi opere già pianificate e a volte pronte con progetti esecutivi, cantierabili già nel 2020/2021».

Il Ponte sullo Stretto è un’opera ancora attuale o sarebbe una cattedrale nel deserto in quanto manca l’AV/AC ferroviaria sia a monte che a valle dell’opera?

«Se si fa l’alta velocità Roma- Reggio è logico fare un collegamento con l’isola che ha 5 milioni di abitanti, per rendere effettivo e di valore questo collegamento su tutto il territorio nazionale. Siamo fiduciosi che si avvii un piano di sviluppo infrastrutturale in grado di ricucire tante ferite del Paese, stimolando lavoro e garantendo collegamenti efficienti. E’ una scelta che va presa per salire sul treno della modernità, della mobilità, della multi-modalità, fondamentale per crescere e per spingere avanti un piano di sviluppo sostenibile. Dall’alta velocità alle reti stradali alle linee metropolitane, l’Italia ha bisogno di modernizzarsi. E questa volta il Sud deve salire a bordo di questo grande piano di sviluppo».

Lei conosce una parte considerevole delle grandi opere in esecuzione o in programmazione nel mondo. Da questo deriva un’idea ben precisa dello sviluppo dell’economia del mondo. Ritiene che il completamento del Corridoio scandinavo mediterraneo, Ponte sullo Stretto incluso, trovi collocazione in questa visione?

«L’Italia non ha futuro senza l’Europa, dal punto di vista economico-finanziario, sociale e della mobilità sostenibile e anche in Italia siamo all’opera su numerosi progetti parte della rete di trasporto TEN-T, dalla strada Jonica al Terzo Valico dei Giovi, linea ad alta velocità che collegherà Genova a Milano per arrivare poi con la direttrice Nord fino a Rotterdam, dalla linea ad alta capacità tra Napoli e Bari che unirà il Sud Italia al progetto di espansione della linea ferroviaria Bicocca-Catenanuova in Sicilia, che renderà più veloci gli spostamenti nell’isola. Ci auguriamo che l’Unione europea continui a promuovere i corridoi TEN-T all’interno del continente, perché si tratta di opere fondamentali per avvicinare le persone e spingere l’acceleratore sulla crescita del nostro Paese e sulla integrazione europea»


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