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Guglielmo Epifani

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Ogni tanto in qualche parte del mondo nasce qualcuno predestinato al successo. Poi anche per lui vale ciò che – raccontano “Le Storie di Erodoto” – Solone disse a Creso, re della Lidia, che gli chiedeva chi a suo parere di grande saggio, fosse l’uomo più felice e fortunato della terra: «per giudicare una vita occorre attenderne la fine», sentenziò. Guglielmo Epifani è arrivato a quel momento. la nera Parca ha tagliato il filo della sua vita. Credo che sia venuto il momento di esprimere un giudizio.

Nato a Roma da genitori di origine campana, nel 1953 la famiglia si trasferì a Milano per poi tornare nella capitale, nel quartiere Talenti, dove Epifani si iscrisse al liceo Orazio conseguendo la maturità classica nel 1969. Nel 1973 si laureò alla Sapienza di Roma in filosofia con una tesi su Anna Kuliscioff. Socialista; dopo la laurea fu assunto dalla Cgil nazionale come direttore della Casa editrice della Confederazione, l’Esi (l’attuale Ediesse). Di quel periodo si ricorda la pubblicazione di una biografia di Bruno Buozzi: tutto sommato, per quei tempi, parlare di un socialista per di più riformista non era proprio facilissimo in Cgil. Ma Buozzi era un martire e meritava rispetto.

Nel giro di due anni Guglielmo approdò prima all’Ufficio sindacale, come collaboratore di Piero Boni, e poi all’Ufficio Industria della Confederazione. Giovane e brillante, colto, un po’ sosia di Harrison Ford (che allora andava per la maggiore), venne soprannominato “il giovane Werther”, un appellativo (il copyright è mio) che si è portato appresso negli anni (del resto anche l’attore americano è invecchiato, così la somiglianza si è man mano adeguata).

Nel 1979 iniziò la sua carriera di dirigente sindacale con l’incarico di segretario generale aggiunto della categoria dei lavoratori poligrafici e cartai. Nel 1990 entrò nella segreteria confederale al posto di Enzo Ceremigna e nel 1993, all’uscita di Del Turco, fu eletto segretario generale aggiunto di Bruno Trentin.

È stato iscritto prima al Partito Socialista Italiano e, dopo la fine del Psi, al partito dei Democratici di Sinistra. Vice di Sergio Cofferati dal 1994 al 2002, a seguito della conclusione del mandato di Cofferati, divenne segretario generale della Cgil, primo (ex)socialista a guidarla dai tempi della sua ricostituzione nel 1944.

Il 16 ottobre 2010 Guglielmo Epifani pronunciò il suo ultimo discorso da segretario Cgil in Piazza San Giovanni, a Roma, in occasione della manifestazione della Fiom. Il 3 novembre 2010 fu eletta alla guida della Confederazione Susanna Camusso, anche lei ex-socialista (ancorché molto sinistrorsa) e prima donna segretaria della Cgil. Con Epifani e Camusso si è verificato in Cgil quella vendetta della storia che ha colpito anche il Pd. Gli ex democristiani hanno preso possesso del partito, mentre gli ex socialisti sono saliti al vertice della Cgil, al grido di «Parigi val bene una messa».

Guglielmo Epifani – ancora folgorante in soglio – fu oggetto di molte critiche da parte del mondo sindacale. Innanzi tutto, quando Cofferati decise schierare la Cgil nella lotta interna ai Ds (in occasione del Congresso di Pesaro) appoggiando Giovanni Berlinguer contro Piero Fassino, Epifani lo seguì insieme con gli ex socialisti sopravvissuti. Si verificò così una situazione paradossale che vide gli ex socialisti della Uil appoggiare Fassino, quelli della Cgil Berlinguer (incassando così una sonora sconfitta).

Come segretario generale Epifani si comportò da Re Tentenna, rinviando le decisioni e combattendo quasi tutte le battaglie sbagliate (fino a schierare la Cgil per il sì nel referendum per l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto anche alle piccole imprese). Scaduto il mandato, alle elezioni politiche italiane del 2013 fu candidato ed eletto alla Camera dei Deputati come capolista della lista Pd nella circoscrizione Campania I.

Venne eletto presidente della X commissione attività produttive, commercio e turismo, incarico a cui non rinunciò neppure quando l’11 maggio 2013 fu nominato segretario (di transizione) del Pd, ricevendo dall’assemblea del partito 458 voti, pari all’85,8% dei voti validi, su 534. In quel ruolo dimostrò, con sorpresa, una certa inconsueta dose di coraggio, quando si trattò di difendere il Governo presieduto da Enrico Letta, sostenuto anche da Silvio Berlusconi.

Davanti alla Direzione del suo partito attraversata da rancori, frustrazioni, arroganze giovanili – il neo segretario-traghettatore dichiarò che quando si sta al governo ci si deve mettere la faccia. Quello di Letta, pertanto, non era un «governo amico», ma l’esecutivo espressione del Pd. Poi, Epifani riuscì in ciò che da segretario della Cgil non aveva mai fatto: mandare a quel paese Maurizio Landini, la Fiom e il caravanserraglio che questa organizzazione era solita mobilitare, esibendo le più sgradevoli «barbe finte» di questa povera Italia.

Il 15 dicembre seguente fu sostituito da Matteo Renzi, al quale, in seguito, ha fatto opposizione, fino al punto di prendere parte alla scissione del Pd (fu incaricato lui di spiegarne le ragioni nel dibattito) e all’avventura dell’Articolo 1-Mdp, dove è restato fino a quando ha terminato la sua corsa. Di certo era convinto di aver combattuto la buona battaglia e conservato la fede.


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