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Sedia “Nobody’s Perfect” disegnata da Gaetano Pesce (foto da http://zerodisegno.com/)

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Qual è il rapporto tra l’opera di Gaetano Pesce e la tradizione artistica italiana, che egli conosce e reinterpreta con una intelligenza e una fantasia uniche?
L’apparenza della sua dissonanza dai linguaggi della tradizione è soltanto nell’uso dei materiali. In realtà Pesce ha sempre considerato il suo lavoro libero dalle barriere tra i linguaggi proprie delle arti, nelle distinte discipline (architettura, scultura pittura , disegno, design).

La sua ricerca è una sorta di agglomerato in cui le categorie espressive seguono e sono scelte secondo il contenuto o l’argomento da trattare.
Fin dalle prime mostre, Pesce si è espresso, con deliberata incoerenza, usando diversi media. Ai linguaggi tradizionali non poteva non affiancare quelli della moda, della musica, del cinema, delle performances. In questo il suo spirito trasferisce nel nostro tempo e nelle nostre coordinate gli esempi più alti della tradizione italiana. Restando a Padova, dove Pesce si è formato, è inevitabile, nel dialogo tra architettura, scultura e pittura, pensare alla personalità di Andrea Mantegna, che con un solo medium, la pittura, esprime anche le altre arti.

Mantegna è architetto e scultore e, certo, nella sua visione, non riconosceva barriere tra i linguaggi.

È una multidisciplinarità che caratterizza i talenti migliori anche nel nostro tempo. Penso a Luigi Serafini, Livio Scarpella, Anselm Kiefer, e , per certi versi, Banksy.

Ma la posizione di Gaetano Pesce resta aristocratica e non disponibile a scendere a linguaggi di diretta comunicazione popolare e demagogica in un’aura di immediatezza e di poesia evocativa come quella che caratterizza il linguaggio elementare e primario di Banksy.

In Pesce non c’è critica alla società dei consumi, alla persuasione occulta della pubblicità; anzi ne usa i linguaggi elaborati e sofisticati.

La sua fantasia si esprime nelle forme e nei materiali che hanno generato la sedia Nobody’s Perfect, il tavolo uomo rinato, la Pulcinella Lamp, il modello originale in legno della poltrona UP5_6, e altre opere tridimensionali concepite dagli anni ’60 a oggi. Si tratta di “un’esplosione di colori e creatività” che produce oggetti apparentemente inutili, e invece tutti funzionali, in una chiave che nega, prima di tutto, il carattere ripetitivo del design.
Pesce produce, non riproduce, tanto più nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’arte. È il momento migliore per contrastare questa regola. Il suo è un nuovo teatro del mondo o della memoria. Il modello concettuale, mnemonico-visivo, dell’opera di Pesce, nonostante l’apparente attualità e contemporaneità, fa riferimento a un patrimonio culturale che oggi è praticamente estinto, ma che fino a pochi secoli fa toccava buona parte degli aspetti della vita quotidiana; mi riferisco alla tradizione millenaria dell’arte della memoria.

Molte delle metafore sulla memoria che siamo abituati a usare oggi, anche con una certa leggerezza, affondano, infatti, le radici in epoche in cui la capacità mnemonica era di primaria importanza, vista anche la scarsità di supporti tecnologici, a cui oggi siamo abituati, i quali si fanno carico, al nostro posto, di molti compiti di memorizzazione. In una ristrettissima cerchia rinascimentale, essenzialmente di matrice neoplatonica ed ermetico-cabalistica, l’arte della memoria assurse inoltre ad onori ben maggiori di quelli che gli si riconoscono attualmente come mero sapere empirico e utile solo a memorizzare conoscenze inerenti ai più diversi ambiti. Uno dei più celebri esempi di questo utilizzo, quasi iniziatico, della memoria, è l’opera del retore e filosofo Giulio Camillo, detto Delminio (1480-1544), che avvicinò la memoria a una diffusa esperienza visiva, ovviamente non all’esperienza cinematografica ma, mutatis mutandis, a quella teatrale; suo progetto era quello di erigere un vero e proprio teatro della memoria.

Pesce, davanti alla arte italiana, è come i pittori del Rinascimento davanti all’arte classica , alla archeologia, come Cosmè Tura difronte a un sarcofago con un fregio a encarpo vegetale: lo ricrea, lo fa rivivere nella vitalità del disegno e del colore, in una rigenerazione fantastica.


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