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Edward John Poynter: Erato, Musa della poesia (1870)

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Bellezza! Ma di quale bellezza parliamo quando pensiamo alla Poesia? Una nuova Bellezza che si fondi per il tramite delle nostre mani.

Bellezza! Ma di quale bellezza parliamo quando pensiamo alla Poesia? La Poesia, ma anche l’Arte più in generale, possono (o forse devono) svolgere una qualche precisa funzione sociale che le scardinino da questa loro funambolica fortezza del sogno – realtà?

Rapire frammenti, indizi di realtà sottesi, e ricondurli al destino di una pagina bianca che d’un tratto s’accende di parole e poi viene richiusa. Sempre un passettino avanti, ma pur sempre disgiunti dalla realtà, o al contrario conchiusi nella propria impotenza visionaria che osserva criticamente il reale, senza mai neppure sfiorarlo? Le spalle al muro come la tela di quadro.

Chissà se Piero della Francesca, l’intuizione di un punto immaginario che piano piano, più si avvicina e più ti lascia disarmato per la sua forza centrifuga, abbia anche voluto certificare provocatoriamente il castello di sabbia della edificazione, in questo caso pittorica? Allora, forse, come la tela di un quadro, le spalle al muro, discendere il gradino della Storia per inciampare nel quotidiano.

Farsi proprio con un dolore operoso e mai rassegnato il destino nel mondo. Ci aiuta l’etimologia della parola: Poesia è essere creanti, non osservanti nella Polis. Dunque, forse, un capitolo del tutto inedito nella Storia dell’Arte ci attende.

E laddove i saperi umanistici e scientifici, nella loro ostinata ricerca sempre più precipiziale, anziché avvicinarci ad una sintesi fruibile, come infinite matriosche, non fanno che reiterare nuove domande ed aprire nuovi interrogativi, l’Arte, la Poesia possono, credo, incanalarci verso una nuova umanizzazione. Una nuova Bellezza che si fondi per il tramite delle nostre mani.


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