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Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie

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Da Bankitalia al Clep, tutti gli esperti hanno bocciato la fattibilità e l’equità del progetto sull’autonomia voluto dalla Lega: per Fratelli d’Italia è un male necessario da scambiare con il Premierato e il ddl va avanti

MAN mano che l’approvazione del ddl Spacca-Italia si avvicina si scoprono gli altarini; in un moto di sincerità derivato forse dalla vicinanza tellurica dell’Etna, Paolo Barelli, presidente dei deputati di FI, ha rivelato di recente: «Se l’autonomia differenziata voluta dalla Lega non è ancora andata in porto è perché Forza Italia ha detto che non si può andare avanti con i dati storici in alcuni ambiti dove è chiaro che il dato storico al Sud non è proporzionato al dato del Nord, dove i servizi erano superiori». Tradotto, vuol dire che se finora il pastrocchio della Lega realizzato da Calderoni sull’autonomia non è passato, il merito è «del nostro gioco di squadra, di Renato Schifani e Roberto Occhiuto». Parole pronunciate al recente meeting di Taormina. Parole che fanno sperare. Poco meno di una rivendicazione. Da bravo ex nuotatore Barelli sa affrontare le onde, l’ira degli alleati della Lega che di certo non le avranno apprezzate.

LEGA: AUTONOMIA O SECESSIONE?

Barelli ha svelato quello che questo giornale sta scrivendo sin dall’inizio. E cioè che dietro quel ddl sull’autonomia bocciato ripetutamente da tutti gli esperti che si sono avvicendati nelle audizioni in commissione Affari costituzionali al Senato, c’è una scriteriata architettura della Lega partorita dal ministro agli Affari regionali. Che Calderoli non voglia essere ricordato solo per il Porcellum, la sua legge elettorale truffaldina, è comprensibile. Ma da qui a creare danni permanenti, cicatrici sociali che non si rimargineranno facilmente, ce ne corre. Non stiamo disegnando un quadro retroscenista. Quella di Barelli non è una frase “dal sen fuggita”. È quello che nella maggioranza pensano in tanti, ma in pochi hanno il coraggio di dire. E cioè che l’autonomia che hanno in mente i governatori del Veneto, Luca Zaia – persona per altro molto apprezzata in altri ambiti – e della Lombardia, Attilio Fontana, – del quale non si può dire la stessa cosa – non è quella che ha in mente il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. La prima autonomia è poco meno di una secessione, il goffo tentativo di trattenere sul proprio territorio il gettito fiscale. È inutile girarci intorno, al bando le ipocrisie: a questo aspirano i due presidenti. Se per caso c’erano dubbi, a fugarli ci ha pensato la relazione inviata al ministro dal Clep, il comitato di esperti guidato dal professor Sabino Cassese, il principe dei costituzionalisti. A dimostrazione che non è un dibattito tra meridionalisti, vecchi e nuovi terroni che si ribellano ai predatori lombardo-veneti. Delle 23 materie che Lombardia e Veneto vorrebbero gestire in proprio, 15 richiedono in via prioritaria la garanzia dei Lep. Con un costo insostenibile per le casse già pesantemente indebitate dello Stato. Lo dicono Cassese & co. ma prima lo avevano detto tutti gli altri, da Bankitalia all’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). I livelli essenziali delle prestazioni devono essere assicurati su tutto il territorio nazionale.

CREDIBILITÀ POLITICA

In assenza di tale presupposto le chiacchiere stanno a zero. La dimensione finanziaria è incompatibile con il disegno Spacca-Italia. Non basta citare l’articolo 116 della Costituzione ed elencare le materie traslocabili alle Regioni, mandare la palla avanti sperando che qualcuno faccia gol. I Lep costano: chi dice 60 miliardi di euro, chi 100. Di sicuro c’è che non possiamo permettercelo. E allora? Allora c’è un’autonomia, un trasferimento di “funzioni” che invece può essere realizzato, giovare al Paese e rilanciare il Sud. Ma non ha nulla a che vedere con le scorie padane, le aspirazioni irrisolte di qualche nostalgica camicia verde. Il mondo è andato avanti, caro ministro. Abbiamo assistito in questi giorni a uno strano via vai. Il direttore generale della Svimez, Bianchi, va in Veneto a spiegare perché dice no al ddl 615. Il ministro Calderoli va in Basilicata a spiegare che se il Nord diventerà più autonomo, per il Sud sarà meglio. Manco ci fossero ancora i sanfedisti. La verità è che Forza Italia questa autonomia a senso unico non la vuole. Lo ha lasciato intendere anche Antonio Tajani. A parte la Lega e qualche stravagante governatore dem non la vuole nessuno. A cominciare da Giorgia Meloni che anni fa aveva presentato un ddl che andava in senso opposto. Che poi quando si viene al Sud si dica una cosa e quando si va al Nord se ne dica un’altra, è questione che attiene alla credibilità della politica e che andrebbe indagata. Già, la coerenza, questa sconosciuta. Un’oscillazione geografica che muove come un pendolo il Pd. A parole la segretaria Schlein – superfetazione di Landini – è contraria all’autonomia differenziata.

AUTONOMIA, PIÙ DANNI DEL PREMIERATO

Ma allora perché balbettare? Perché non mettere dinanzi alle sue innumerevoli contraddizioni il presidente dem della Regione Toscana, Eugenio Giani, che vorrebbe gestirsi in privato la geotermia e i beni culturali ma non è stato in grado di coordinare e utilizzare i fondi per la manutenzione dei ponti e dei canali che hanno tracimato a Prato e dintorni? Opere mai realizzate e che sono state infilate all’ingrosso tra i progetti del Pnrr (senza averne i requisiti). L’autonomia differenziata è un tema ostico, lo sappiamo perfettamente. Già l’accoppiata delle due parole è di per sé respingente e risulta incomprensibile al cittadino comune. Ma attenzione: potrebbe fare più danni del Premierato. Che poi è lo zuccherino che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia sperano di ricevere in cambio del loro silenzio-assenso. Ma ne vale davvero la pena?


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