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Il ministro Roberto Calderoli, primo firmatario della legge sull'autonomia differenziata

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PER ora la legge sull’autonomia differenziata è solo una bomba senza innesco ma se scoppia può scavare un solco incolmabile tra Nord e Sud. Una legge di cui non si sentiva davvero il bisogno. Chi oggi la voterà (in diretta Rai, alle 16.30, con i rappresentanti del Carroccio in favore di telecamere) se ne assumerà la responsabilità. Un provvedimento che se non verrà in qualche modo disinnescato farà solo danni. Una manomissione della Costituzione che non ha assolutamente nulla a che vedere con la strada del federalismo solidale indicata dai nostri Padri costituenti. Casomai il contrario, l’egoismo a orologeria delle regioni più ricche che in questo modo puntano a trattenere sui loro territori il gettito Irpef e Iva.

UNA LEGGE SULL’AUTONOMIA SU MISURA PER I RICCHI

Chi, come il professor Sabino Cassese – in buona fede, ma lo dice – sostiene che anche il Sud avrà i suoi vantaggi, dimentica che il primo firmatario di questa legge sull’autonomia si chiama Roberto Calderoli, cioè il ministro agli Affari regionali che ideò il Porcellum (a volte, come recitava il vecchio spot di un digestivo, basta la parola). È una legge fatta su misura per le regioni più ricche. All’inizio chiederanno di gestire in proprio, oltre alla Sanità, trasporti, energia, beni culturali, relazioni estere, poi chiederanno l’istruzione. Poi vorranno scegliersi i docenti, retribuirli con stipendi più alti, offrire una scuola a loro immagine e somiglianza. Un diploma a Reggio Calabria e Messina già oggi vale meno che a Milano, figuriamoci domani. Non stiamo parlando di una legge sbagliata sull’autonomia differenziata, un articolo da correggere, un comma da emendare, ma di una visione: il tentativo di trasformare l’Italia in un Paese Arlecchino. Di questo si tratta, inutile girarci intorno: per contrastare questo disegno servono prese di posizione nette, non giri di parole.

Chi, come noi, ha seguito in Senato l’iter di questo sgangherato quanto pericoloso disegno di legge, ha osservato da vicino le espressioni facciali, raccolto le frasi sussurrate a mezza bocca, assistito a una spericolata rincorsa ai mille distinguo. Per assecondare le smanie tardo-secessioniste del ministro leghista e di governatori – che vorrebbero prolungare a tempo indeterminato il loro mandato – si vuole introdurre nel nostro ordinamento il chiavistello che può scardinare il Paese. Il tentativo di depotenziare il disegno di legge attenuandone gli effetti con emendamenti che erano già stati rigettati nella prima Commissione è sicuramente apprezzabile, ma in fin dei conti è stato vano. Semmai c’erano dubbi, l’esplicita ammissione che si è trattato di un patto, “un barattellum”, come lo hanno definito le opposizioni.

SUD PENALIZZATO ROMA UMILIATA

Ci sfugge, però, il motivo per il quale un partito sovranista e centralista come Fratelli d’Italia abbia resuscitato rigurgiti secessionisti da tempo in avanzato stato di decomposizione. Tanto più che in questo modo si è umiliata Roma, una Capitale scippata del suo ruolo di Capitale. L’altro oggetto dello scambio è il Premierato, l’elezione diretta del presidente del Consiglio, una riforma che suscita passioni fredde e che nel migliore dei casi sfocerà in un referendum. E non è detto che gli alleati di oggi, così dipendenti dai sondaggi, saranno anche gli alleati di domani. È un male per tutto il Paese. Ma chi per primo con questa legge sull’autonomia in salsa leghista dovrà fare i conti sarà il Sud. Gli effetti collaterali, come per le scorie atomiche, si conosceranno solo tra qualche anno.

Non chiamatelo blitz, però. La Lega ha rassodato il terreno sin dall’inizio, ha messo le sue sentinelle nei punti chiave e lungo tutto il tragitto. Ministero degli Affari regionali, Mef, Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, Commissione per la definizione dei Fabbisogni standard (Sose). Con la diretta Rai si chiude il cerchio. Per dare risalto all’avvenimento si stanno preparando 200 eventi locali. «È una svolta epocale» esultano Salvini e Zaia. Il fatto stesso che questa legge susciti entusiasmi solamente in un perimetro ben circoscritto della Penisola la dice lunga. Militanti veneti, gonfaloni di San Marco, con quel tanto di retorica impolverata che accompagna chi passa la vita guardando lo specchietto retrovisore. Con la guerra in Ucraina in atto, con la Palestina trasformata in una polveriera e con il Mar Rosso sotto il tiro incrociato dei missili, ci toccherà assistere a questo film in bianco e nero, al nostro Medioevo prossimo venturo.

LA LEGGE SULL’AUTONOMIA E LA DEFINIZIONE DEI LEP

Si era detto con un briciolo di buonsenso: prima definiamo i Lep, i livelli assistenziali minimi sotto i quali questo Paese è Terzo mondo. Un mondo in cui non ci sono bus per andare a scuola, non c’è tempo pieno, non ci sono asili nido, il welfare è un’elemosina e si viaggia ancora su un solo binario su littorine. Dopo, ma solo dopo, quando ci saranno le risorse per ridurre le disuguaglianze (articolo 3 della Carta) si pensi all’autonomia. Ma anche qui con una clausola: sole le regioni che ne faranno richiesta e che dimostreranno in concreto di essere più efficienti dello Stato. Cosa che non è scontata e in tutti questi anni non è avvenuta, per esempio nel campo della sanità. Lo abbiamo visto con il Covid, con i disastri del Veneto e della Lombardia che sono ancora sotto gli occhi di tutti. La sanità pubblica, smontata pezzo per pezzo a beneficio dei privati accreditati, così che i viaggi della speranza al Nord sono diventati sempre più cari e il diritto alla salute appartiene solo a chi può permetterselo. Una comunità solidale non taglia il fondo perequativo (45,6 miliardi di euro). Anzi.

PARLAMENTO SVUOTATO

Con l’approvazione della legge Calderoli emerge infine anche un’altra realtà. I provvedimenti proposti dal governo arrivano in Aula “blindati”, senza alcuna possibilità che possano essere modificati. Nel caso della legge Calderoli la blindatura è iniziata in commissione Affari costituzionali, il fulcro dell’istruttoria. Lo ha riconosciuto – una dimostrazione di lealtà e di rispetto per le prerogative parlamentari – lo stesso presidente Alberto Balboni esponente di Fratelli d’Italia. L’emendamento presentato dal senatore De Priamo, riveduto e corretto, approvato dall’Aula ricalcava i contenuti di altri emendamenti respinti in commissione, una violazione dell’articolo 81.

Sembrerà una questione di lana caprina, ma non lo è. Il Parlamento rischia di trasformarsi sempre più in una prassi protocollare, un luogo di ratifica, una prova di fedeltà degli alleati. Va da sé che svuotare di contenuti il luogo di massimo esercizio della democrazia è molto pericoloso. Più pericoloso di quei saluti fascisti di Acca Larentia che pure non possono essere derubricati come semplice folclore.


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