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Il porto di Gioia Tauro

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Agenda Sud punta su Autonomia differenziata, fondi europei e Zes unica. Giorgia Meloni interviene a Reggio Calabria mentre De Luca scende in piazza a Roma


Sarà pure un caso, ma è molto più probabile che ci sia stata una precisa regia nella decisione della premier, Giorgia Meloni, di firmare il primo accordo sui Fondi di Coesione in una regione del Sud proprio nello stesso momento in cui il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, chiamava a raccolta amministratori regionali e sindaci del Mezzogiorno a Roma proprio per protestare contro il blocco delle risorse destinate al Meridione. Un botta e risposta a distanza, condito da uno scambio a dir poco vivace e molto vicino all’insulto, fra il presidente campano e la leader di Fdi.
Ma, al di là delle polemiche di piazza, sono molti e complessi i nodi dell’Agenda Mezzogiorno del governo. Con tre partite che in buona parte si intersecano e sulle quali si decide buona parte delle chance di ripresa dell’economia anche a livello nazionale. La prima partita è sicuramente quella dei fondi di coesione.

All’epoca di Tremonti si chiamavano Fas (Fondo aree sottoutilizzate) e, nella pratica, si erano trasformati in una sorta di Bancomat per le esigenze di cassa del governo di turno. Negli anni sono stati utilizzati anche per gli autotrasportatori del Nord. E, più di recente, per fare fronte all’emergenza Covid.
Il risultato è che per il ciclo 2014-2020, su 68,8 miliardi di risorse Fsc, sono stati utilizzati in questa chiave 19 miliardi. Circa 10,2 hanno finanziato misure spot che, anche se volte a ridurre i divari, avrebbero dovuto essere coperte con risorse ordinarie. Altri 4,1 miliardi sono stati assegnati dal Cipess per la crisi Covid. Facendo saltare anche quel vincolo che prevede una riserva dell’80% al Sud e del 20% al Nord.
Senza contare gli effetti perversi di un regionalismo anarchico, dove la spesa era segnata dai mille rivoli degli sprechi e delle clientele. Un meccanismo che il ministro della Coesione, Raffaele Fitto, ha profondamente modificato con due paletti ben precisi. Il primo: avere un quadro esatto delle somme effettivamente spese dalle Regioni nel ciclo precedente prima di dare il via libera ai fondi 2021-2027. Il secondo, fissare un quadro coerente degli investimenti con tutte le altre risorse a disposizione, a partire dal Pnrr.

Tutto bene, solo che il risultato ha premiato finora le regioni del Nord, che hanno potuto presentare e firmare gli accordi con Palazzo Chigi. Considerando anche le dimensioni dei rispettivi progetti. Mentre nel Sud l’unica regione a tagliare il traguardo è la Calabria, governata dal centrodestra. Ma anche quella con una dote di progetti che è più o meno la metà della Campania o della Sicilia (altra regione guidata da un esponente della maggioranza di governo). La partita dei fondi di coesione si intreccia, però, alle altre due grandi riforme sul terreno. Quella dell’autonomia differenziata e quella della Zes unica del Mezzogiorno. Sulla carta, la prima spinge sul decentramento e il federalismo, l’altra sull’accentramento e sul coordinamento di tutti gli interventi per lo sviluppo.

De Luca ha messo giustamente insieme le tre partite, che sono sicuramente interconnesse. Ma con il rischio, altrettanto evidente, di creare confusione. Mentre, infatti, la battaglia sull’autonomia differenziata è ancora tutta da giocare, soprattutto perché manca il tassello fondamentale della definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, la Zes unica ha registrato una prima falsa partenza, con lo slittamento della sua piena operatività da gennaio a marzo.
Ancora una volta viene alla luce il nodo storico delle politiche per lo sviluppo (e non solo): quello della loro attuazione. Forse anche per questo, negli ultimi mesi, si è tornati a parlare della vecchia Cassa per il Mezzogiorno, quella di Pescatore e Saraceno, che ha dato il primo e forse unico vero choc all’intervento straordinario per il Sud.
La risposta alla Zes Unica parte in ritardo e ai Fondi di Coesione che arrivano con il contagocce non può essere quella del semplice ritorno al passato, al bancomat del Fas o al regionalismo anarchico. La cosa migliore è, soprattutto, quella di semplificare la macchina amministrativa e accelerare nell’attuazione degli interventi. Sperando che, alla fine, anche sull’autonomia differenziata prevalga il buon senso nella gestione delle risorse pubbliche.


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