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Giorgio Napolitano

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Si è fatto portatore della soluzione del problema che tutti gli prospettavano e dal quale solo lui poteva tirarci fuori. Ha agito come deve agire colui che riassume le preoccupazioni di un sistema non solo italiano che riguardavano il futuro dell’euro, dell’Europa e dei rapporti transatlantici. Con lo spread a 570, il lavoro e il risparmio in bilico per un paio di generazioni, il rischio per l’Italia di diventare la nuova Argentina era reale. Sventato.

Se si vuole commemorare davvero Giorgio Napolitano, come merita, bisogna partire da qui. Bisogna partire dall’unico fatto decisivo che lo consegna alla storia come lo statista di caratura mondiale che ha tenuto insieme l’Europa salvando l’Italia dal default sovrano nel novembre del 2011. Nei ricordi tutti di livello altissimo che hanno accompagnato il suo funerale laico nell’aula di Montecitorio, questo merito assoluto che fa la differenza tra lui e gli altri nella cerchia ristretta dei grandi statisti europei è quello che strumentalmente in casa non si vuole dire o si vuole dire meno.

Perché, vi potreste chiedere, l’Italia tutta si ferma e onora Napolitano, ma quasi tutti sorvolano sul default sovrano italiano ormai vicinissimo e da lui evitato in extremis? Perché nessuno ricorda la furia dei mercati che scommettevano sulla rottura dell’euro e facevano soldi a palate a spese di Italia e Spagna? Gli errori di Trichet alla guida della Bce prima di Draghi e gli interessi geopolitici soprattutto energetici dei francesi? Perché si vuole mettere la sordina a una devastante crisi reputazionale e di tenuta della maggioranza del governo Berlusconi dell’epoca che arrivò al punto di consentire all’ambasciatore arabo di salutare Romano Prodi con due parole (bunga, bunga!) beccandosi la piccatissima risposta del professore bolognese che fu peraltro il primo a dire con chiarezza che i nostri cari alleati sfruttarono alla grande la debolezza politica italiana?

Non si dice, diciamo che si sorvola, perché così ognuno a posteriori si può inventare un proprio racconto impossibile. Ribadire con forza questa solenne verità significherebbe togliere la terra sotto i piedi a chi meschinamente vuole sempre raccontare a modo proprio ciò che non è vero o lo è solo in parte dietro quella parola magica, complotto, che è la voce narrante della parte meno nobile della storia politica, economica e finanziaria di questo Paese.

Giorgio Napolitano ha salvato l’Italia dal default sovrano che è una cosa che rende un Paese povero, emarginato e non per un breve periodo. Se hai una gamba nel burrone e un’altra fuori e io riesco a tirarti su, vivrai momenti difficili, ma vai avanti. Se cadi nel burrone con tutte e due le gambe, quando ti tiro su viene fuori un Paese che è un corpo distrutto e per ricostruirlo daccapo ci vuole almeno una generazione.

Un racconto veritiero di quei fatti ci restituisce la missione politica al servizio delle istituzioni che ha segnato la vita di Napolitano come quella di De Gasperi, da rileggere la lettera dal carcere con cui lo statista trentino scrive alla moglie che lui può fare solo il politico esattamente come il chirurgo può fare solo il chirurgo. Questo racconto veritiero ci restituisce la missione politica andata in porto di Napolitano che consente a Berlusconi di fare il passo indietro che salva il Paese, con un gesto che va a suo onore, dopo avere respinto all’estero offensive improprie franco-tedesche, e che ha consentito allo stesso Berlusconi di non essere travolto né come imprenditore né come politico dalle macerie che il default sovrano avrebbe determinato.

Berlusconi sarebbe finito politicamente per il resto dei suoi giorni mentre l’esercizio degasperiano della missione istituzionale di Capo dello Stato porta Napolitano a prendere l’unica decisione che si poteva prendere per salvare l’Italia. Perché solo ragioni di parte con il senno di poi possono fare finta di ignorare che Napolitano ha fatto quello che era giusto trovandosi per suo merito al culmine di una rete di relazioni di tutti i poteri economici, politici, religiosi, internazionali. Napolitano si è fatto portatore della soluzione del problema che tutti gli prospettavano e dal quale solo lui poteva tirarci fuori.

Quello che nessuno ancora oggi vuole vedere fino in fondo è che Napolitano ha agito come deve agire colui che riassume le preoccupazioni di un intero sistema produttivo, sociale e culturale non solo italiano che riguardava il futuro dell’euro, dell’Europa intera e anche dei rapporti transatlantici. Con lo spread a 570 e il lavoro e il risparmio degli italiani a rischio per un paio di generazioni le elezioni con l’inferno dello scioglimento e dei comizi mentre la speculazione si mangiava tutto, sono un lusso che neppure le grandi democrazie si possono permettere e che la grande politica al servizio delle istituzioni deve impedire. Perché il rischio di diventare la nuova Argentina o la nuova Grecia era un rischio reale.

Ricordo che all’epoca dirigevo Il Sole 24 Ore e, per rispettarne il rigore algebrico, feci un titolo a caratteri cubitali FATE PRESTO che fece il giro del mondo a dimostrazione che il problema andava oltre l’Italia e l’Europa. Ricordo, di quei giorni, una telefonata di Napolitano e le sue parole: “Direttore, non abbiamo fatto presto, abbiamo fatto prestissimo”. Ricordo di quella telefonata un mood sollevato del tipo: l’abbiamo scampata grossa. Anche un riferimento chiaro a Berlusconi ugualmente di sollievo: collabora, entrerà nella nuova maggioranza, ha fiducia in Monti.

Un po’ di tempo dopo, quando monta la polemica del complotto, mi trovo al Quirinale per un’intervista e quando gliene chiedo conto, la risposta fu secca: “Ma lei lo ha mai visto un complotto in cui la vittima è parte attiva del complotto?”. Replicai: “No, Presidente non lo ho mai visto, ma Berlusconi era davvero parte attiva?”. Altra risposta ancora più perentoria: “Sì, ha detto la sua su tutto e ha votato tutto e, poi, con Monti, ha avuto sempre anche un buon rapporto personale”.

Quando, ancora dopo, gli chiesi della telefonata con la Merkel e delle ricostruzioni che se ne facevano, Napolitano mi disse: “Era preoccupata per l’euro, abbiamo parlato di che cosa fare per ridurre il deficit e di riforme strutturali, ma le ho detto che è in gioco l’interesse nazionale e, come sempre in questi casi, gli italiani sanno fare squadra”. Sarebbe bello che si capisse che ciò che consegna alla storia Napolitano è quel gioco di squadra degli italiani che lui seppe guidare in un momento in cui erano a rischio Europa e Italia.

Che la pista francese, gli errori della Bce di Trichet, la fame dei mercati, il problema politico italiano, sono tutti elementi di un mosaico unico. Possiamo chiamarlo come vogliamo. Quello che non ci possiamo permettere di pensare è che cosa sarebbe accaduto se Napolitano non avesse fatto quello che ha fatto. Perché quando hai un problema grosso devi agire prima che le macerie ti travolgano. Questo vale per allora e potrebbe rivalere sempre se alimentiamo racconti non veri che mettono a rischio la nostra reputazione in uno scenario globale già di per sé complicatissimo.


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