Il Primo Ministro polacco Tusk,il presidente ucraino Zelensky e quello francese Macron, il Primo Ministro britannico Starmer e il Cancelliere tedesco Merz a Tirana
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 MELONI E DUE FOTO
- 2 VERTICE A TIRANA
- 3 MELONI: «NON FAREMO PARTE DEI VOLENTEROSI»
- 4 IL MONITO ALLE OPPOSIZIONI
- 5 LA RISPOSTA DI MACRON A MELONI
- 6 ZELENSKY SMENTISCE LA PREMIER
- 7 GLI INCONTRI BILATERALI
- 8 L’IMPORTANZA DI ESSERE AL TAVOLO
- 9 L’ESCLUSIONE DELL’ITALIA DAI PAESI STRATEGICI
- 10 “L’INAFFIDABILITÀ ITALIANA”
La premier, Giorgia Meloni, diserta l’incontro di Tirana e annuncia: «Non invieremo truppe in Ucraina». Al vertice della Comunità politica europea l’incontro tra Macron, Merz, Starmer, Tusk e Zelensky
Fuori dalla foto del giorno che raffigura Macron, Starmer, Tusk, Merz, Zelensky intorno ad un tavolo dell’Opera di Tirana che ospita il vertice Cpe alle prese con una videochiamata con Trump. Al centro, però, dell’altra foto del giorno: sempre a Tirana, in apertura di vertice, Meloni passeggia in piazza Skanderbeg verso il premier albanese appena confermato e ospite di casa e lui si mette in ginocchio davanti a lei. Che si schermisce sorridendo. Nella prima non c’è, nella seconda è protagonista.
MELONI E DUE FOTO
Due foto che parlano chiaro. In un valzer di contraddizioni, smentite e passi falsi, da un paio di mesi si sta consumando il dilemma del governo italiano sul suo posizionamento geopolitico: con l’Ucraina ma senza inviare truppe; con l’Unione europea ma senza alzare le spese per il riarmo come chiedono Bruxelles e la Nato; con Zelensky e con Trump ma non con le loro richieste di avere quelle “garanzie di sicurezza” – leggi protezione militare – che impediranno a Mosca le mire imperialistiche. Poi la stessa Meloni chiede le “garanzie di sicurezza” per la pace giusta e duratura di Kiev salvo poi dire che «non manderà mai un soldato».
VERTICE A TIRANA
Il vertice ieri, venerdì 16 maggio, a Tirana della Comunità politica europea (Cpe), formato allargato a 47 paesi di area europea e inaugurato da Macron e Draghi per discutere sul destino del Vecchio continente, poteva essere un necessario momento di chiarezza per Meloni e per il governo italiano dopo le polemiche sulla sua assenza a Kiev il 10 maggio scorso, sulle dichiarazioni di Tajani («sull’Ucraina dobbiamo essere più chiari»), sull’irrilevanza in generale di Roma ai tavoli in cui in questi giorni i leader parlano di tregua, pace, condizioni e trattative.
MELONI: «NON FAREMO PARTE DEI VOLENTEROSI»
Non è arrivata alcuna chiarezza. Anzi. Alle sei del pomeriggio, di venerdì 16 maggio, quando da almeno tre ore è scoppiata la polemica per la riunione dei leader europei ancora una volta senza Meloni, la premier italiana si presenta piuttosto stizzita davanti alla telecamere e chiarisce: «Non so più come dobbiamo dirlo: l’Italia non manderà mai un soldato in Ucraina, quindi non faremo mai parte della coalizione dei Volenterosi e quindi non partecipiamo alle loro riunioni. Sono stata chiara?».
IL MONITO ALLE OPPOSIZIONI
Sempre da Tirana si rivolge anche alle opposizioni: «Non vogliono le armi e meno che mai l’invio dei militari e però si lamentano se non partecipo alle riunioni che parlano di questo? Io sono una persona seria e coerente». E anche molto arrabbiata. Perché tutti gli sforzi fatti ieri dalla premier per dimostrare la sua centralità in Europa in virtù dei rapporti privilegiati (presunti) con Trump hanno raccontato invece della sua marginalità.
LA RISPOSTA DI MACRON A MELONI
Micidiale in serata la risposta che Macron dà in conferenza stampa. La domanda al presidente francese riferiva, appunto, ciò che aveva appena detto Meloni, che l’Italia non partecipa a riunioni in cui si decide l’invio di truppe. «C’è un errore di interpretazione – ha risposto secco Macron – in quella riunione a margine non abbiamo parlato di inviare truppe ma del cessate il fuoco per domenica. Guardiamoci dal diffondere false informazioni. Sono già sufficienti quelle russe».
Gelo totale. Anche perché già il presidente ucraino, Zelensky aveva smentito la premier.
ZELENSKY SMENTISCE LA PREMIER
«Ho parlato con il presidente Donald Trump insieme al Presidente Macron, al Cancelliere federale Merz, ai Primi Ministri Starmer e Tusk. Abbiamo discusso dell’incontro di Istanbul – ha scritto su X – L’Ucraina è pronta a compiere i passi più rapidi possibili per portare una vera pace ed è importante che il mondo assuma una posizione forte. Se i russi rifiutano un cessate il fuoco completo e incondizionato e la fine delle uccisioni, devono seguire sanzioni severe».
GLI INCONTRI BILATERALI
Tutti gli altri bilaterali di giornata della premier, con il padrone di casa Edi Rama, con Zelensky e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, gli appelli (di Meloni) perché l’Europa «recuperi consapevolezza e possa così contrastare il declino» e per velocizzare l’ingresso dei Balcani nell’Unione europea, sono finiti nelle ultime file di una giornata invece molto importante. Non tanto per il Cpe ma per il contesto in cui si è svolta la riunione dei 40: il totale fallimento del tavolo Russia-Ucraina a Istanbul; la necessità per Trump e per l’Europa di capire quali potranno essere le prossime mosse.
L’IMPORTANZA DI ESSERE AL TAVOLO
Ecco perché sarebbe stato importante, per l’Italia, essere presente a quel tavolo che si è riunito a margine del Cpe: non per decidere se e quanti militari inviare in Ucraina ma per capire da che parte dovrà andare adesso la Storia e partecipare alle prossime scelte. Potranno bastare, ad esempio, nuove sanzioni commerciali che andranno a colpire sia i circuiti bancari, i beni già confiscati e i residui commerci di gas? Scelte e dinamiche da cui invece sembriamo ogni giorno che passa sempre più fuori. Un’inerzia iniziata paradossalmente nel momento in cui il centralismo della premier aveva raggiunto l’apice: il bilaterale alla Casa Bianca. Da quel momento è iniziato il declino.
L’ESCLUSIONE DELL’ITALIA DAI PAESI STRATEGICI
La riunione di Tirana non era iniziata bene. I giornali, italiani tedeschi e non solo, erano pieni di dettagli circa il fatto che la Spd ha chiesto al cancelliere Merz di escludere l’Italia dai “paesi strategici” (previsti dal patto di coalizione del neonato governo tedesco) con cui ampliare l’asse tedesco-francese-polacco, il cosiddetto formato Weimar. Praticamente l’Italia fuori dalla prima classe europea.
“L’INAFFIDABILITÀ ITALIANA”
Il motivo sarebbe una sorta di «inaffidabilità italiana» in questo preciso momento storico che richiede un’Europa più compatta, meno dipendente dagli Usa e attrezzata a fare da sola. Anche da un punto di vista militare. Inaffidabile il governo che ha al suo interno una componente filorussa ed euroscettica (la Lega).
Inaffidabili le opposizioni anche loro molto pacifiste e in parte filorusse. Risultato: lasciamo l’Italia fuori. Il governo tedesco ha poi smentito (oggi, sabato 17 marzo, Meloni riceverà Merz a palazzo Chigi). Intanto la grancassa della propaganda della destra per tutto il giorno ha gridato allo “scandalo” fino ad ipotizzare “il razzismo politico”. Armando il solito vittimismo. La giornata aveva in serbo molto di più e ben di peggio.
LEGGI ANCHE: Governo in affanno. Cresce la tentazione del voto anticipato
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA