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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio

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APPRENDIAMO da una nota ufficiale della Presidenza del Consiglio che il Governo ha cercato in tutti i modi di rendere “autoapplicative” le disposizioni legislative emanate ed ha cercato anche di non eccedere nel rinvio a provvedimenti attuativi. Sempre dalla Presidenza si precisa che un obiettivo primario è quello di rendere quanto più possibile autoapplicative le disposizioni legislative e comunque a non eccedere nel rinvio a “provvedimenti attuativi”. E finalmente possiamo tutti leggere un dato che ritengo davvero rivoluzionario: la legge di bilancio varata nel dicembre 2023 invoca provvedimenti attuativi per un valore globale di 3,97 miliardi contro i 6,22 miliardi della manovra Draghi ed i 5,95 della manovra Conte 2.

E non possiamo non ricordare altri dati emersi nell’ultima verifica effettuata dal Dipartimento per il Programma di Governo da cui si evince che al 30 marzo i decreti e altri atti di varia natura in sospeso erano 497: 183 collegati a provvedimenti messi a punto dall’attuale esecutivo e altri 314 riconducibili ai Governi Conte 1 (19), “Conte 2” (67) e Draghi (228). Ebbene, al momento del suo insediamento Giorgia Meloni aveva trovato una eredità di 375 provvedimenti e tra la fine del 2022 ed il marzo 2023 questo enorme bagaglio di provvedimenti si è ridotto a 61 più i 24 previsti dalle attività di Governo in carica. Ma in questo capillare monitoraggio penso il dato che riveste un ruolo davvero fondamentale è il seguente: dei 47,6 miliardi stanziati per quest’anno con gli interventi adottati dall’esecutivo di centrodestra nei primi cinque mesi di operatività solo 5,7 miliardi (poco più del 10,8%) è previsto da disposizioni che per la loro attuazione rinviano a decreti di secondo livello; l’89,1% è invece riferibile a norme autoapplicative e quindi svincolate da altri adempimenti di tipo normativo. In realtà queste percentuali sono senza dubbio incoraggianti, cioè siamo in presenza di un Governo che ha adottato una scelta procedurale, io direi un vero nuovo codice comportamentale che ridimensiona, in modo sostanziale, il ricorso ai cosiddetti Decreti attuativi ed inoltre scopriamo che una volta concluso l’iter legislativo il provvedimento diventa “auto applicativo”; in realtà è come se il Governo avesse capito la componente negativa di ciò che chiamiamo burocrazia, una componente che stranamente è presente non all’interno dei singoli Dicasteri ma in quell’area che caratterizza la componente governativa e l’intorno giuridico amministrativo che supporta la componente stessa.

Per cui riconosciamo subito coloro che, vivendo in tale impianto istituzionale, emergono per qualità, per efficienza manageriale ed è facile riconoscer così i bravi Capi di Gabinetto ed i bravi Capi Uffici Legislativi. Ma perché ho ritenuto utile soffermarmi a lungo su tali dati e su tale rivisitazione procedurale; l’l’ho fatto perché penso sia utile apprendere e al tempo stesso misurare quanto sia stato miope non seguire subito una simile logica nella intera passata Legislatura, cioè con i Governi Conte 1, Conte 2 e Draghi.

Non entro nel merito dei provvedimenti “non auto applicativi” però, in modo davvero banale, scatta un interrogativo: perché l’attivazione concreta della “cassa”, perché l’attivazione concreta delle opere identificate nel PNRR, perché dal giugno 2020 (data di approvazione a scala comunitaria del PNRR) sono passati tre anni per trasformare le scelte in provvedimenti direttamente operativi? Non è la mia una gratuita insistenza, non è la mia una incomprensibile richiesta di chiarimento da parte di tre Governi che, spesso, hanno tenuto fermi o presso la Ragioneria Generale dello Stato per la cosiddetta bollinatura, o presso due o tre distinti Dicasteri per dare piene assicurazioni su ciò che viene definito “concerto”, provvedimenti chiave per la crescita del Paese. Questo ridicolo comportamento ha prodotto un dato: l’attivazione della “cassa” e quindi la reale attivazione della spesa ha subito un ritardo di oltre 40 mesi e sarebbe aumentata questa fase se lo stesso Presidente Draghi nella primavera del 2022, scoprendo questa misurabile incapacità di alcuni Ministri del suo Governo, non avesse convocato d’urgenza un Consiglio dei Ministri e non avesse deciso con il suo sottosegretario Garofoli di monitorare sistematicamente l’avanzamento delle iniziative di competenza di alcuni Ministri che ritenevano essenziale solo l’annuncio, il racconto possibile di una infrastruttura dimenticando che la Unione Europea monitorava, in modo sistematico e capillare, i nostri Dicasteri e conosceva bene le deformazioni procedurali e, soprattutto, la incidenza di alcune interpretazioni di singoli Ministri nella gestione dei vari provvedimenti e nel dare corso a atti conclusi in sede parlamentare.

Ricorderete benissimo che da quel momento il Sottosegretario Garofoli divenne un vero controllare sistematico e con più riunioni cercò di far conoscere, ancor prima la istituzione del ReGis, il dato che vorremmo non aver mai appreso: in tre anni la spesa delle risorse mese a disposizione del PNRR non ha superato il 6% del valore globale; cioè circa 8 miliardi e se si tiene conto che di questi 9 miliardi circa 4 miliardi è relativa ad opere già avviate con la Legge Obiettivo sin dal 2008, ci rendiamo conto che in 3 anni abbiamo realmente speso una cifra davvero irrisoria pari a soli 4 miliardi di euro. Diventa quindi quasi obbligatorio leggere e capire questa anomala stasi nel rendere concreta ed operativa ogni decisone dello Stato e diventa anche difficile pensare che la mancata spesa in conto capitale sia solo dovuta alla volontà di destinare un montante rilevante di risorse all’attuazione di scelte miopi immaginate da Renzi, Di Maio e Salvini; mi riferisco all’aumento dei salari bassi, mi riferisco al Reddito di Cittadinanza, mi riferisco al Quota 100. In realtà pian piano mi sto convincendo che questa dannosa insipienza (dannosa perché ha creato un danno alla crescita annuale del PIL di una soglia percentuale pari a 1,3%) debba essere ricercata nella diffusa sottovalutazione della rilevanza del fattore tempo, nella forte sottovalutazione della interazione funzionale e sistematica tra distinti Dicasteri, nell’interpretare le norme come uno strumento ricadente nelle competenze e nelle finalità di un Dicastero, nel sottovalutare la immediata incidenza sul PIL dell’attivazione concreta della spesa e quindi delle opere


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