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Alfred Nakache Illustrazione di Roberto Melis

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Un diamante è per sempre, una maledizione no: durò tre lustri meno di quella del Bambino (LEGGI), ma finì anch’essa in un anno olimpico, nel 2016, quella della capra, che, contro i Chicago Cubs, resistette 71 anni, lanciata come fu nel 1945. Il lanciatore al Wrigley Field, lo stadio dei Cubs, fu il padrone della Billy the Goat Tavern. Si chiamava William Sianis ed era tifosissimo dei Cubs.

Aveva acquistato la taverna pagandola 205 dollari, con un assegno a vuoTo che però andò subito “a buon fine”, giacché nel primo weekend d’apertura guadagnò anche di più. Wlliam era un greco immigrato a Chicago, e, come la celebre cantante attrice creola Josephine Baker, aveva due amori.

Quelli di lei erano il suo Paese (la città di St Louis e le sue origini afroamericane e caraibiche particolarmente apprezzate dai frequentatori di locali tutto il mondo, specie quando danzava vestita di un gonnellino di banane) e Parigi.

Quelli di lui i Chicago Cubs e la capra Murphy che un giorno si era intrufolata nella taverna, dopo essersi buttata giù da un camion che trasportava il bestiame probabilmente al macello. William, detto Billy, si intenerì e ne fece il suo “pet”, l’animale da compagnia. Voleva tenersela vicino anche il 7 ottobre 1945, allo stadio: era il giorno di gara 4 di finale, con i Cubs avanti 2 a 1. William aveva regolarmente acquistato due biglietti, uno per sé e uno per Murphy, ed aveva preso posto in tribuna. Murphy indossava un frivolo guinzaglio. Ma, essendo una capra, puzzava come una capra. Il che non dovette risultare particolarmente gradito ai vicini di posto che chiamarono gli stewards perché allontanassero l’indesiderato vicino di seggiolino.

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Arrivarono e intimarono al ristoratore di Michigan Avenue di portare la capra fuori dallo stadio: avrebbe potuto legarla a un palo di recinzione e riprendersela alla fine del match. William fu subito refrattario e, piuttosto che far subire a Murphy quella “umiliazione”, si alzò dal seggiolino pagato, trascinò l’altrettanto riottosa capra e s’avviò con camminata di sfida, verso l’uscita e poi alla sua taverna, che era a due passi dallo stadio.

Borbottò per tutto il tragitto: “Non vincerete più”. Non riuscì a prendere sonno tutta la notte, pensando a Murphy ed a come l’avevano trattata (o trattato: la storia non specifica se si trattasse di capra o di caprone). S’alzò sudato e nervoso e immediatamente spedì un telegramma indirizzato a Philip K. Wrigley, il proprietario della franchigia. “Perderai queste World Series e non ne vincerai mai più un’altra perché hai insultato la mia capra”.

I Cubs persero 4 a 3 e non vinsero né la National League né le World Series fino al 22 ottobre 2016, quando nella prima competizione s’imposero contro i Los Angeles Dodgers. William Sianis era morto da 46 anni. Quando? Il 22 ottobre 1970, lo stesso giorno di calendario che la maledizione della capra cessò. L’anno in cui morì, pentito per gli effetti devastanti della maledizione con cui aveva fulminato i Cubs (la squadra del cuore di Hillary Clinton), aveva cercato di riparare mandando allo stadio suo nipote Sam con una capra al guinzaglio.

Ma la capra del pentimento non ebbe momentaneamente alcun effetto e William se ne andò con il rimorso di aver contribuito a creare, intorno ai suoi preferiti, la leggenda di “lovable losers”, adorabili perdenti come ormai li chiamavano tutti.

La leggenda avrebbe avuto perfino una citazione cinematografica di altissimo profilo: in uno dei “Ritorno al Futuro” (il numero 2, quello del 1989) quando il protagonista s’informa su come fare soldi scommettendo su un evento assai improbabile che avverrà, il preferito è il successo nella League dei Cubs, previsto per il 2015. Accadde l’anno dopo.

Fin lì a nulla erano serviti tentativi di rabbonire le caprine divinità offese da quel gestaccio e da quell’accusa di “puzzolentismo”. Avevano provato riservando il posto d’onore nello stadio di Houston nel 2003 a Virgil Horner, che non era un esorcista, ma un cornuto caprone. Era l’anno della capra secondo l’oroscopo cinese e i tifosi speravano, con quell’attenzione, di placare l’”ira funesta” della Capra Maligna. Una specie di esorcista lo avevano chiamato sotto la veste di un sacerdote-santone ortodosso, greco come Sanlis, che aveva tentato di “ribenedire” la panchina dei Cubs.

Erano passati perfino a sacrifici animali: una capra macellata era stata appesa sotto la statua di Harry Carey, celebre broadcaster dei Cubs; avevano tentato pure la via della beneficenza, finanziando un piano di assistenza agli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo inviando loro una vagonata di capre (era il 2011). Cinque baldi giovanotti di Chicago mangiarono, per grassa penitenza, una capra di 40 chili in 13 minuti e 22 secondi al ristorante Taco in the Bag, nel 2015. Strapparono un primato da Guinness del “famolo strano”, ma la vittoria dei Cubs no.

C’erano stati pure, nel corso delle stagioni, un gatto nero che traversò il cammino di un Cub, e uno spettatore bianco, Steve Bartman, che aveva deviato un fuori campo proprio nel momento in cui stava arrivando il Cub vincitore a colpire al volo. La palla rotolò altrove, i Cubs persero l’inning e il match, Steve Bartman dovette uscire dallo stadio sotto scorta. Finalmente venne il 2016, più d’un secolo dopo l’ultima vittoria dei Cubs che si era verificata nel 1908. Battuti i Dodgers, la squadra di Chicago nella finale delle World Series sconfisse i Cleveland Indians. Così i giocatori di quell’anno non andarono a rinforzare il catalogo di 42 nomi: tanti sono stati i campioni di baseball che hanno vinto le World Series una volta lasciati i Cubs.


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