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Che l’Italia non abbia lo spessore per le decisioni rilevanti è sotto gli occhi di tutti. Un paese barocco, immobile, burocraticamente inefficiente, dalle discussioni infinite, incapace di decidere ma soprattutto privo di capacità prospettica verso il futuro.

E la vicenda del ponte è emblematica. Evito gli excursus storici, che lascio agli inutili politici, e vado al dunque.

Uno degli argomenti dei detrattori dell’opera è che la stessa non possa comunque essere definita prioritaria in una realtà, come Calabria e Sicilia, priva di tutto, certamente di tanto. Si evidenziano i problemi del dissesto idrogeologico, della sanità inefficiente, di tante altre opere mancanti senza le quali il ponte rimarrebbe una cattedrale nel deserto, e così via dicendo.

Ma nessuno comprende invece che proprio il ponte ne sarebbe il traino, l’elemento propulsore in grado di accelerare tutti gli interventi mancanti.

Per usare un parallelismo, è come l’intervento per l’ecobonus all’interno di un appartamento condominiale, che può essere eseguito se vi è quello trainante sull’intero edificio, senza il quale il primo è precluso.

Perché è di questo che concretamente si tratta. E valga il vero. Sembra, per esempio che la tanto pubblicizzata linea ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria, quella vera e propria, si intende, per treni sino ad oltre 300 Km all’ora, ed effettivamente da realizzare, sia solo quella da Battipaglia a Praia a Mare, mentre per il resto le opere si ridurrebbero a piccole modifiche per consentire una velocità di 150 Km all’ora.

Né è chiaro in che cosa consistano, concretamente, gli interventi sull’autostrada, nel tratto corrispondente, considerato che nel percorso peggiore di essa, da Cosenza ad Altilia Grimaldi, sono da anni in corso lavori per il nuovo look alle gallerie ed ai guardrail, mantenendo intatto un tratto di una pericolosità inaudita, che, se rifatto adeguatamente, consentirebbe invece, in soli 20 minuti di collegare Cosenza con l’aeroporto di Lamezia, con indubbio beneficio.

Né è dato sapere cosa sarà della SS 106, se diventerà un’autostrada a quattro corsie da Reggio a Taranto, oppure un rammendo qua e là. Ed il discorso potrebbe riportarsi parallelamente per i vari collegamenti interni in Sicilia.

E del resto, a cosa servirebbe l’alta velocità sino a Reggio in una regione ormai spopolata e con scarse possibilità di sviluppo? Quale danno potrebbe subire una regione come la Calabria da una quarantina di Km di strada di campagna inserita in autostrada?

Ed anche il porto d Gioia Tauro, alla fine, non sarebbe gravemente pregiudicato se i treni dovessero impiegare un’ora in più per raggiungere l’Europa. Ma certo, non sarebbe nemmeno deleterio se giungessero con un giorno di ritardo. La Calabria, in fondo, non è la Lombardia. Ed è meglio, per i tanti, che non lo diventi mai!

Ma tutto sarebbe diverso, col ponte. L’alta velocità ferroviaria avrebbe senso, ed anche quelle gincane della Salerno-Reggio si renderebbe necessario eliminarle, così come non si potrebbe fare a meno della corsia d’emergenza sull’intero tratto. Non sarebbe più la Salerno-Reggio, ma la Salerno Palermo, anzi Trapani, perché avrebbe anche senso che velocità stradale e ferroviaria giungessero sino a lì.

E che dire della Catania -Reggio-Taranto, autostrada ionica della rinata Magnagrecia? Tale diventerebbe dopo la realizzazione del ponte!

Ma c’è di più. Il ponte oltre a portare lavoro per un decennio ad oltre 100.000 persone, darebbe lo stura alla nascita di attività economiche ed industriali di supporto in grado di crescere e rafforzarsi e proiettarsi nel futuro anche in contesti diversi. Un primo grande beneficio lo avrebbe il centro siderurgico di Taranto, oggi in crisi, che con la necessità di acciaio per il ponte avrebbe non solo grande impulso ma anche l’occasione di riconvertirsi ad energia pulita.

Dal suo rafforzamento industriale si trarrebbero le risorse per renderlo compatibile con l’ambiente e la vita delle persone. Ma decine sarebbero le attività produttiva che sorgerebbero tra Calabria e Sicilia, non potendosi immaginare che tutto possa e debba essere importato da realtà lontane. E dunque lavoro, per la costruzione del ponte e per le attività di supporto. Lavoro e sviluppo, unici elementi per combattere davvero i fenomeni criminali come mafia e ‘’ndragheta.

È infatti ridicolo solo immaginare che bastino arresti e maxi processi per sconfiggere un fenomeno che trova nella povertà la sua causa primaria. Ci sarà la penetrazione della mafia negli appalti ? Non lo so. Certo, anche chi ha vissuto di mafia dovrà avere una occasione di riscatto, ove voglia abbandonare la vecchia vita, se lo fa rispettando le regole.

Ma lo sviluppo attrae ogni cosa. Come il povero che diventa ricco, che compra la macchina nuova, o si veste adesso alla moda, frequenta l’alta società e quando parla viene ascoltato, magari con larvato disprezzo ma con apparente cordialità. Ha titolo adesso per parlare e dunque chiedere quel che nessuno, prima, gli avrebbe dato.

E quindi, come si potrà non intervenire per il dissesto idrogeologico se inciderà su una viabilità internazionale, su un sistema intermodale che da Gioia Tauro si proietterà verso Rotterdam ? E come si potrà lasciare ancora la sanità allo sbando in una zona ricca del Paese, che potrà alzare la voce e pretendere?

Per non parlare del turismo. Non solo per visitare il ponte come si fa per quello di Brooklyn, ma anche per i collegamenti veloci da ogni parte d’Italia.

Il ponte è forse l’unica opera, per l’effetto moltiplicatore che determina sul piano economico, in grado di cambiare davvero le sorti dell’estremo Sud, di dare una svolta effettiva alla risoluzione di problemi atavici, visto il fallimento della politica di contributi a pioggia, rivelatisi vero spreco di risorse pubbliche.

Solo la spesa in infrastrutture può dare impulso al Paese. E dunque, chi non vuole il ponte è perché ha interesse a che questo lembo di terra rimanga com’è, nel sottosviluppo, nella povertà, soggiogato da ‘ndrangheta e mafia!

*Avvocato – Vibo Valentia

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