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Domenico Vacca

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Il pugliese Domenico Vacca veste i più grandi divi del cinema americano con capi e tradizione 100% made in Italy. Dopo il successo internazionale tra New York, Los Angeles, Miami, Londra, Mosca e perfino Doha, in Qatar, Domenico Vacca ha appena aperto la sua prima boutique monomarca in Italia, a Roma.

Lei ha portato l’alta sartoria italiana tra i divi di Hollywood e tra gli uomini più importanti e potenti del pianeta, da Al Pacino a Denzel Washington, da Bill Clinton a altri capi di stato, da Ivana Trump ad attrici come Glenn Close, Jodie Foster e Diane Keaton, come nasce questa passione e come si è trasformata in un mestiere?
«Nasco in una famiglia di sarti da parte di mia madre. Mia nonna aveva un atelier in Puglia già nel 1925. Sono cresciuto sotto i tavoli da sarta di mia nonna e dei miei zii, giocavo con i tessuti e ho sviluppato una sensibilità artigianale sin da piccolo. Ma in quegli anni al Sud era meglio avere una carriera sicura come professionista, quindi mi sono laureato in legge e sono andato a fare l’avvocato di diritto internazionale prima a Milano e poi a New York. Solo dopo una laurea, due master all’estero e dieci anni di attività legale ho deciso di tornare alle mie origini investendo prima in una azienda sartoriale napoletana e cinque anni dopo lanciando il mio marchio di abbigliamento e accessori uomo e donna nel 2001, vent’anni fa. Ho avuto la fortuna di partire subito dal mercato americano e di iniziare quasi subito a vestire tanti divi di Hollywood, sia sul set che fuori, creando i loro costumi per film di grande successo: da Denzel Washington in “American Gangster” a registi come Paul Haggis e Sofia Coppola fino ad attori del calibro di Forest Whitaker, Glenn Close, Al Pacino e Dustin Hoffman. È “mio” anche il guardaroba di Michael Douglas e Alan Arkin nella seria Netflix “Il Metodo Kominski”.

Le sue creazioni sono amate da celebrità e non solo. Quale è secondo lei l’elemento che più conquista dei suoi capi?
Penso la qualità prima di tutto, i nostri capi al tatto e all’occhio parlano da soli, i tessuti sono i migliori che esistano e la mano dei nostri sarti è di altissimo livello. Sono poche le aziende che usano i tessuti che usiamo noi e sono ancora meno le aziende che realizzano i capi a mano, sia il ready to wear che su misura. E poi abbiamo internazionalizzato l’Italian Style, lo abbiamo reso appetibile a un pubblico internazionale, a un uomo che viaggia per lavoro e vacanza in tutto il mondo, a una donna che deve essere donna a New York come a Londra o a Mosca.

È vero che un giorno nel suo negozio è entrato Valentino?
«Si, nel nostro negozio di New York, ha fatto shopping ed è stata una grande soddisfazione…ho anche pensato di ritirarmi dopo che Valentino ha fatto shopping da noi….scherzo, ma in quel momento ho pensato di aver raggiunto l’obiettivo del mio lavoro, creare dei capi bellissimi, fatti a mano e con tessuti e vestibilità unici».

Ha aperto store tra Los Angeles, News York, Doha Mosca e Miami, ma usa solo stili e capi 100% italiani. Perché?
«Il New York Times mi ha definito Ambasciatore del made in Italy nel mondo oltre che re del lusso e molti giornali mi hanno definito la Ferrari dell’abbigliamento, non è possibile essere identificati così se non si produce solo ed esclusivamente in Italia. I nostri sarti non hanno uguali, quello che posso realizzare con loro non lo potrei realizzare con nessun altro artigiano al mondo».

Quale valore ha oggi il Made in Italy?
«Per il consumatore è ancora sinonimo di qualità, di prodotto ben fatto, di stile… speriamo che non si perda, sono ormai tante le aziende e i prodotti che usano il marchio made in Italy ma made in Italy non lo sono neanche un po’».

Oltre al lavoro, ha molti amici ad Hollywood. Quali sono quelli più cari?
«Attori come Daniel Day Lewis, Forest Whitaker, Alan Arkin, Jeremy Piven, Michael Nouri sono miei carissimi amici ma anche con Dustin Hoffman, Will Farrell, Pierce Brosnan, Chazz Palminteri, Ron Moss, Glenn Close, Sharon Stone, Sofia Coppola, Susan Sarandon e tanti altri abbiamo passato bei momenti insieme».

Ha mai portato i suoi amici in Italia?
«Sì, finora ho portato Michael Nouri (“Flashdance” e “Demoni”), Ron Moss (“Beautiful”), Jeremy Piven (“Entourage”) e Shaun Toub (“Iron Man”). Sono impazziti per l’Italia e per la Puglia, sono venuti a trovarmi a Trani e poi li ho portati in giro nella mia meravigliosa regione.

Lei è partito da Andria ma ha costruito il suo successo da imprenditore all’estero. Una sorta di “percorso al contrario”; quali le lezioni che potrebbero aiutare altri imprenditori italiani?
«Internazionalizzatevi, imparate l’inglese, portate i vostri prodotti all’estero, non abbiate una visione italocentrica del mondo».

Dopo le attività internazionali ora è attivo anche a Roma con nuovo store e in Puglia, la tua terra, con degli importanti investimenti immobiliari nel settore turistico. Una scelta solo affettiva o pensa che oggi sia una buona strategia investire in Italia? E in quali settori?
«Affettiva in primis, per le mie origini e anche perché mia moglie, la modella e attrice internazionale Eleonora Pieroni, sta lavorando molto anche in Italia oltre che in America, ma anche una scelta di opportunità. Penso che la Puglia e l’Italia in generale oggi offrano delle grandi possibilità in diversi settori, soprattutto in quello alberghiero ma anche nel lusso come punto di espansione per il mercato europeo, russo, del Medio Oriente e cinese».

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