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Un momento dell’operazione di lunedì scorso della polizia

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Erano convinti che i soldi inviati in Albania fossero usati per aiutare le famiglie più bisognose e i bambini: si sono difesi così i quattro uomini arrestati lunedì scorso con l’accusa di aver raccolto e inviato denaro per finanziare in Albania l’attività terroristica dell’imam della Moschea Xhamia e Letres a Kavaje (Tirana), Genci Abdurrahim Balla, ritenuto vicino all’associazione Isis Daesh e già condannato a 17 anni di reclusione per aver reclutato decine di combattenti inviati in Siria.

Ieri ci sono stati gli interrogatori di garanzia dei quattro indagati, il 33enne Elsio Ramku, cittadino italiano di origine albanese, dipendente del Comune di Bari, rispondendo alle domande del giudice, ha detto che era convinto che il denaro fosse destinato ad aiutare famiglie bisognose in Albania e non, come ipotizza la Dda di Bari, a finanziare attività terroristiche. Ramku, assistito dall’avvocato Nino Laforgia, si è detto estraneo a tutte le accuse: ha spiegato di vivere da 22 anni in Italia e di aver ottenuto anche la cittadinanza, di avere una compagna e due figli e di aver sempre partecipato a raccolte di denaro per aiutare anche famiglie italiane, senza sapere qualche fosse la reale destinazione dei soldi inviati in Albania.

Al termine dell’interrogatorio il difensore ha fatto istanza di revoca degli arresti domiciliari. Prima di lui sono stati interrogati gli altri tre arrestati, Yljan Muca, 31 anni, Roland Leshi, 37 anni e Roland Belba, 37 anni, tutti cittadini albanesi residenti in provincia di Bari che lavorano come braccianti agricoli, difesi dall’avvocato Salvatore Tomasino. Anche loro hanno negato le accuse spiegando di non avere consapevolezza della destinazione del denaro. Stando alle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Bari, i quattro avrebbero raccolto e inviato denaro per finanziare in Albania l’attività terroristica dell’Imam della Moschea «Xhamia e Letres» a Kavaje.

Il denaro, avrebbero documentato le indagini, veniva trasferito attraverso canali non tracciabili, crowdfunding in bitcoin oppure trasportato in borsoni nascosti in camion che viaggiavano via mare dalla Puglia all’Albania. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra maggio e luglio 2020. All’indagato Muca è contestato anche il reato di apologia di terrorismo per aver diffuso tramite una chat whatsapp, la stessa sulla quale avrebbe lanciato la raccolta di denaro, e condiviso su Telegram link, video o documenti tradotti dall’arabo in albanese «di chiara matrice jihadista».

Dalle numerose conversazioni intercettate nell’indagine della Digos, coordinata dal pm della Dda Domenico Minardi, emerge il «fanatismo religioso antioccidentale» degli indagati, e la loro convinzione di «italiani popolo di miscredenti». Commentavano gli attentati, come quello di Charlie Hebdo del gennaio 2015 a Parigi, gli arresti di terroristi in varie parti del mondo, giustificandone ideologia e azioni e, nel luglio 2020, parlavano di appropriazione dell’Ucraina da parte degli occidentali finalizzata ad appropriarsi del gas ucraino.

Le indagini «hanno consentito di configurare il finanziamento di associazione terroristica concretizzatosi nella raccolta di denaro da destinare ad attività caritatevole derivanti dalla «zakat», termine arabo costituente uno dei cosiddetti pilastri dell’Islam», sostiene il gip.

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