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Terra di giovani poveri, in partenza o destinati a patire. Di futuri pensionati ai limiti della sussistenza e donne per lo più disoccupate, con reddito e opportunità inferiori agli uomini. “La Puglia tra precarietà, povertà lavorativa e rischio desertificazione demografica” messa a fuoco dallo studio presentato dalla Cgil ha poco da sorridere. Quasi un povero su due ha meno di 35 anni e più dell’80 per cento dei nuovi lavori sono precari.

Il tasso di occupazione (Applicazione Data Science di Anpal Servizi su microdati Forze Lavoro Istat 2020) si ferma al 45,9 per cento, con divari di genere notevoli, perché gli uomini raggiungono il 59.5 per cento, mentre le donne si fermano al 32,5. Anche il tasso di inattività indica il grado di difficoltà delle donne, col 60,6 per cento contro un 45.7 generale. Il dato disaggregato vede la provincia di Bari registrare i numeri migliori, con l’occupazione al 53,5 per cento e il tasso di inattività al 39,7. La peggiore è quella di Foggia, con l’occupazione al 39 per cento. Gli occupati in termini assoluti in tutta la regione sono 1 milione 212 mila 168, di cui 444 mila 058 a Bari e provincia, seguita da Lecce 216 mila 51 e Taranto 163 mila 748.

Il commercio col 16,6 per cento, seguito da istruzione e sanità al 15,6 e dall’industria a 14,6, sono i settori che impiegano più persone sul territorio. Solo il 19,4 per cento riguarda persone laureate. I disoccupati in tutta la regione sono 215 mila 454, 54 mila 731 nella sola provincia di Bari, ma è quella di Foggia a soffrire maggiormente, con 56 mila 210 persone in cerca di lavoro, un numero enorme se rapportato oltretutto alla popolazione. La drammaticità del quadro è data quando si vanno ad analizzare i dati dei più giovani.

Il numero occupati tra i minori di 29 anni della fascia attiva della popolazione è 149 mila 817, quello dei disoccupati 61 mila 628. Anche la ripresa dell’occupazione, del resto, non lascia troppo spazio alla fiducia, visto che, nonostante la ripresa, nei primi sei mesi dello scorso anno sono stati attivati 537 mila 855 nuovi contratti di lavoro, a fronte di 391 mila 577 cessazioni, ma la stragrande maggioranza sono a tempo determinato: 446 mila 200, per l’esattezza. Di questi oltre 236mila hanno avuto durata di un solo mese, 106mila da uno a tre mesi. Il numero di famiglie povere è 124mila per 356mila individui coinvolti.

La tendenza del lavoro precario, sempre secondo lo studio curato Cgil, si confermerebbe anche nel 2022: la rilevazione di Unioncamere e Anpal sui fabbisogni occupazionali delle imprese pugliesi nel primo trimestre dell’anno ci dice che nel 53 per cento dei casi si offrono contratti a tempo determinato, solo nel 24 per cento a tempo indeterminato, il resto diviso tra collaborazione, somministrazione, apprendistato. «Tutto questo rimanda – sottolinea il sindacato – alla difficoltà di costruirsi una carriera previdenziale.

Per questo diciamo che la riforma delle pensioni penalizza soprattutto territori come la Puglia e il Mezzogiorno, se non prevede misure di sostegno soprattutto per i giovani e le donne soprattutto. In Puglia l’importo medio delle pensioni al lordo è di 1000 euro che si abbassa a 800 euro per le pensioni di vecchiaia e a 700 per i lavoratori autonomi». Un tendenza che trova conferma anche sul quadro della povertà nel territorio. Il numero delle famiglie considerate povere è di 124 mila 405, vale a dire 356 mila 184 persone (dato 2020).

Ben 397mila sono quelle che presentano dichiarazioni Isee inferiore a 10mila euro e 36 mila 541 dichiarano redditi tra i mille e 2 mila euro in un anno. Un problema strutturale è poi dato dalla dimensione delle imprese. Prevalgono quelle piccole che spesso non hanno risorse manageriale e finanziarie per affrontare investimenti per innovazioni di processo e prodotto che le rendano più competitive sul mercato e trascinino manodopera altamente formata. L’83,8 per cento dei dipendenti pugliesi lavora in aziende che impiegano da 0 e 9 occupati, il 60,6 per cento sono imprese individuali.

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