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METAPONTO – Ci vorranno almeno altri tre giorni di lavoro continuo delle pompe idrovore, per poter finalmente liberare l’intero perimetro dell’area archeologica di Metaponto.

Ci vorranno, quindi, quasi due settimane per salvare la gloriosa storia della Magna Grecia lucana dall’ennesimo annegamento, causato anche dall’incuria dell’uomo. Il Quotidiano sta continuando la sua battaglia culturale, per sensibilizzare chi di dovere all’ennesima emergenza nel Metapontino. Sì, perchè è bene chiarire che l’economia locale, soprattutto turistica, ma anche quella agricola, marcia di pari passo alla promozione del territorio e della sua storia. Componenti uniti in modo indissolubile di quel tanto decantato “brand Basilicata”, che a fatica si cerca di creare ormai da decenni.

In altri termini, non può esserci turismo culturale, con relativo indotto di occupazione e lavoro, senza la piena e completa fruibilità del Parco archeologico di Metaponto. Questo è un concetto non ancora chiaro a quanti sostengono, per certi versi legittimamente, che il post-alluvione ha altre priorità.

Non è così, lo diciamo in modo sommesso ma determinato, perchè la nostra risorsa archeologica non è affatto un vuoto esercizio retorico da salotto, ma è la sostanza dell’economia del territorio, proprio come le imprese agricole e quelle artigianali, distrutte dall’alluvione di una settimana fa. Le operazioni di drenaggio dell’acqua dall’antica Agorà proseguono senza sosta, come ci spiega il Sovrintendente regionale ai Beni archeologici Antonio De Siena, che anche ieri mattina vigilava sullo stato di conservazione di quanto emerso.

«Ci sono ancora circa 50 centimetri di acqua in metà del perimetro -spiega De Siena al Quotidiano- servono almeno altri tre giorni per ultimare lo svuotamento, poi resta l’emergenza più seria, quella del fango».

Il rischio sarà quello relativo al progressivo indurimento del limo portato dall’alluvione, che potrebbe determinare la copertura dello scavo, con conseguente necessità di riaprirlo. E’ noto, infatti, che ogni nuova campagna di scavo, per sua stessa natura, porta alla parziale erosione anche degli stessi reperti ospitati nell’Agorà.

«E’ proprio così -conferma De Siena- anche se in questo momento siamo favoriti dalla presenza di un’alta percentuale di umidità, che mantiene il fango melmoso, consentendoci di rimuoverlo con apposite idrovore. Prima, però, occorre eliminare tutta l’acqua e poi se ne occuperebbe una ditta specializzata, in quanto servono attrezzature ad hoc». Sul piano dei finanziamenti di questi lavori come procede? «Abbiamo incassato la disponibilità della Regione e della nostra Direzione regionale -prosegue De Siena- occorre capire bene i tempi».

Sul fronte dei danni, non è ancora possibile fare una stima certa. «Sì, perchè mentre abbiamo contezza della situazione negli impianti tecnologici, non c’è certezza sulla compromissione degli scavi, almeno finchè non si elimina del tutto il fango melmoso. Solo dopo, quando le mura saranno nuovamente in vista, si potrà verificare lo stato delle malte dopo l’immersione forzata di quasi due settimane; oggi, infatti, non si può neppure accedere all’area archeologica vera e propria, essendo ancora invasa da fango e acqua». Certo, perchè in pratica l’area archeologica ha fatto da vasca di contenimento della piena del fiume Bradano, salvando le colture intorno, ma sacrificando la nostra storia.

Quindi, dopo aver rimosso l’acqua, serviranno altri 4 giorni per eliminare il fango e solo dopo potrà iniziare la conta dei danni.

«Innanzitutto -conclude De Siena- si dovrà verificare lo stato di conservazione dei drenaggi, realizzati nel VII secolo a.C. e perfettamente funzionanti, ma oggi potenzialmente compromessi e ostruiti dai detriti. In questo caso, il danno potrebbe essere più importante del previsto; poi c’è il problema dei danni ai reperti ed alle mura. Non resta che attendere, ma ne frattempo ci si deve mobilitare per limitare i danni e, possibilmente, prevenire eventuali altre inondazioni.

 

ECCO COSA ACCADREBBE SE SI TORNASSE A SCAVARE

PER capire quale possa essere l’entità del danno arrecato da un eventuale rapido disseccamento della melma che si trova attualmente intorno agli scavi di Metaponto, si deve capire come opera un archeologo quando deve portare alla luce un reperto interrato. La tecnica è quella della stratigrafia. Infatti, nello scavo ci si trova ad operare a partire dall’unità stratigrafica più recente e si procede via via ad asportare gli strati seguendone l’ordine cronologico, dal più recente al più antico, fino ad arrivare ad uno strato naturale inalterato e archeologicamente sterile, ossia privo di materiali.

Si tratta di distinguere gli strati l’uno dall’altro sulla base delle loro caratteristiche fisiche, quali composizione, consistenza, colore codificato (codice Munsell), ecc., e di individuarne i reciproci rapporti fisici (quale strato si sovrappone all’altro, per esempio) per riconoscere ogni volta quello più recente che dovrà essere asportato per primo.

Poiché lo scavo comporta la distruzione dell’oggetto osservato (lo strato di terra viene asportato ed eliminato nel corso del procedimento e lo stesso vale per i limiti di una fossa che costituiscono un’unità stratigrafica negativa), è chiaro quale sia il rischio in caso di ritorno allo scavo nell’area archeologica di Metaponto. Occorrerebbe raccogliere nuovamente i dati stratigrafici, per la rideterminazione della sequenza stratigrafica, che corrisponde alla sequenza degli eventi che si sono verificati sul sito, in questo caso l’ultima inondazione.

Durante lo scavo, la terra deve quindi essere attentamente esaminata per raccogliere sistematicamente tutti i frammenti di manufatti e i reperti faunistici e botanici (ossa, foglie, semi, carboni, ecc.).

Infine i dati raccolti dovranno essere nuovamente interpretati, la sequenza stratigrafica, datata dai materiali, ossia la successione degli eventi accaduti nel sito, dovrà essere articolata per fasi cronologiche coerenti e inserita nel contesto storico locale e generale. I risultati ottenuti dovranno essere pubblicati e infine tutto il materiale significativo dovrà essere conservato in deposito e la documentazione archiviata, in modo da consentire a chiunque in futuro di accedere ai dati raccolti. Un lavoraccio, insomma, che ci si augura di non dover ripetere nell’antica Agorà di Metaponto.

a.corrado@luedi.it

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