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Roma, 10 apr. (askanews) – Di tumore ci si ammala di più, anche da giovani, ma si muore sempre meno. Il risultato è che un numero crescente di persone convive con una patologia che diventa cronica e impone molto impegno anche dal punto di vista emotivo ed economico per mantenere inalterata la qualità della vita personale e dei propri cari. Il dato è emerso dal MetLife Human Health Summit, organizzato da MetLife, compagnia leader globale nell’offerta di prodotti assicurativi, sul tema ‘Innovazione e scienza incontrano le persone’.

Nella cornice della Sala Lettura della Fondazione Feltrinelli sono intervenuti Paolo Veronesi, professore ordinario in Chirurgia Università degli Studi di Milano, direttore del Programma Senologia e direttore della Divisione di Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia oltreché presidente di Fondazione Umberto Veronesi ETS; Federico Cabitza, professore di Interazione Uomo-Macchina e Supporto decisionale, Università degli Studi di Milano-Bicocca e senior researcher IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano; Sabina Rasia, psicologa della Fondazione ANT Italia Onlus, specializzata nell’assistenza domiciliare gratuita ai malati oncologici; Maurizio Taglietti, General Manager di MetLife in Italia. Il convegno è stato moderato da Roberta Capua.

Secondo un sondaggio realizzato da MetLife, le patologie più serie rappresentano una delle maggiori fonti di preoccupazione per una famiglia su tre (32,5%). Più di una su due (63,3%) cita il cancro come timore più diffuso; seguono l’ictus con il 10,9%, l’infarto con il 10,7% e la sclerosi multipla con il 10,1%.

Per Paolo Veronesi, però ci sono buone notizie, visto che la cronicizzazione della patologia è oggi un dato di fatto: si muore di meno di tumore ma, d’altro canto, bisogna convivere con la malattia più a lungo e ancora oggi una diagnosi è considerata spesso una sorta di condanna. “In realtà non è così, il problema è anche culturale. Sono 3.600.000 le persone con diagnosi di cancro in Italia che hanno superato questa malattia. Si assiste a una maggiore incidenza legata all’aumento dell’aspettativa di vita: si pensi che in Italia nel 2023 i casi sono stati 395mila, 15 mila in più rispetto all’anno precedente. È vero che i dati statistici hanno evidenziato per alcuni tumori un abbassamento dell’età di diagnosi come accade per quello alla mammella di cui mi occupo, ma è altrettanto assodato che oggi si fanno spesso esami molto precisi un tempo impensabili e quindi si scopre la patologia molto prima rispetto al passato. Vorrei sottolineare quanto oggi siano centrali i corretti gli stili di vita: quello che mangiamo, che beviamo che respiriamo rivestono un peso fondamentale. In Italia il 30% della popolazione è sovrappeso, il 30% è sedentario, il 25% fuma: si tratta di comportamenti a rischio che se corretti possono far diminuire l’insorgenza dei tumori anche del 30%. In generale la mortalità diminuisce da anni grazie a due fattori principali: diagnosi più precoce, terapie mediche molto avanzate, come quelle a bersaglio molecolare che ogni anno si arricchiscono di nuovi farmaci”.

La grande conquista degli ultimi decessi è rappresentata proprio dal raggiungimento di una buona qualità della vita. “Oggi – continua il medico – si fa in modo che la terapia sia commisurata alle caratteristiche biologiche del tumore. Curiamo quindi malattie anche avanzate, con metastasi in altre sedi, grazie a una serie di farmaci che alternano e spesso sostituiscono la chemioterapia evitandone gli effetti collaterali”.

E il futuro? Di certo appartiene alla medicina predittiva: “Indagando la predisposizione genetica allo sviluppo del tumore ritengo che un giorno sarà possibile testare la predisposizione di ognuno di noi a sviluppare un cancro. Oggi, per esempio, sappiamo che l’8-10% dei casi di tumore alla mammella ha alle spalle una mutazione genetica”.

Il presente, invece, appartiene di già all’intelligenza artificiale utilizzata con successo sia in fase di diagnosi sia in quella di cura. A parlarne il professore Federico Cabitza professore di Interazione Uomo-Macchina e Supporto decisionale, Università degli Studi di Milano-Bicocca e Senior researcher IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano. “Si pensi alla diagnosi precoce aumentata: l’intelligenza artificiale addestrata sulle immagini è in grado di identificare segni subclinici difficili da vedere nel normale iter diagnostico. Questo consente di individuare dei pattern, degli schemi ricorrenti. Al momento sul mercato ci sono circa 700 dispositivi medici etichettabili come AI, la maggior parte dei quali riguardano la radiologia e quindi in molti casi un supporto in ambito di diagnosi oncologica, per l’individuazione o caratterizzazione di tumori anche molto piccoli. Certo è molto difficile fare previsioni: questo genere di sistemi cambia a un ritmo senza precedenti. L’importante è che si capisca come l’AI rappresenti davvero uno strumento in grado di migliorare la vita delle persone. Sono convinto che molti sistemi predittivi possano entrare nel quotidiano e presto non faranno più notizia, come avviene oggi per esempio con esami come la TAC”.

Attenzione però, la tecnologia non potrà mai sostituirsi al medico aggiunge Cabitza. “La relazione fra medico e paziente è multidimensionale, non può essere surrogata mettendo al suo posto uno schermo di un pc. Possiamo parlare di Modello Centauro: l’AI non deve essere contrapposta al medico ma va considerata come uno strumento da combinare con la capacità del professionista. Manteniamo in capo al medico l’empatia, la predisposizione a capire l’altro e invece in capo alla macchina la cosa che sa far meglio, l’elaborazione di milioni di dati. Deve passare la narrazione di un’alleanza, non di una contrapposizione fra uomini e tecnologia: si pensi che in determinate fasi dello sviluppo del farmaco, soprattutto all’inizio, l’uso dell’intelligenza artificiale può essere di grande aiuto e contribuire ad accorciare i tempi di realizzazione da 10 a un anno”.

Il convegno si è soffermato anche su un aspetto più prettamente umano: l’impatto che le patologie gravi hanno sulla psiche non soltanto dei malati ma anche dei loro cari. Ad approfondire questo tema la psicologa Sabina Rasia. Come ribadisce l’associazione ANT il tumore interferisce su tutti gli ambiti della vita quotidiana del paziente, dalle relazioni amicali e familiari a quelli finanziari e lavorativi. Per questo motivo un elevato numero di pazienti sperimenta livelli severi di disagio psicologico, caratterizzati spesso da sintomatologia ansioso-depressiva, con una percentuale che varia dal 10-15% al 20-40%. “Si tratta di nodi che verranno sempre di più al pettine – ha spiegato l’esperta – a causa dell’aumento nell’aspettativa di vita che porta però alla cronicizzazione della malattia. Grazie ai passi avanti compiuti dalla medicina e alla riduzione della mortalità, infatti, i pazienti devono sottoporsi a controlli e terapie periodiche per anni e questo è fonte di continuo stress”.

“L’impatto emotivo è molto forte in particolare al momento della diagnosi. La parola cancro fa ancora molta paura, genera uno shock, il disorientamento è simile a quello successivo a una forte scossa di terremoto. La crisi emotiva può assumere la forma di un trauma: il dolore oncologico impatta sulla psiche e implica dei cambiamenti radicali.

Anche la cronicizzazione rappresenta una sfida: la malattia può avere diverse fasi con specifiche reazioni emotive e compiti di adattamento. Il dovere del malato è quello di riorganizzare la propria vita e trovare un patteggiamento con la patologia. Anche la famiglia viene impattata da questo cambiamento: si pensi che su 7milioni di care giver in Italia, 3milioni assistono malati con patologia oncologica. Si diventa care giver per necessità e non tutti hanno una disposizione naturale ad essere accanto al malato. Noi con la nostra rete presente in 11 regioni cerchiamo di dare una mano assistendo circa 9mila pazienti a cui si aggiungono circa 2mila per la parte che riguarda il sostegno piscologico del malato e della famiglia”.

Il problema nel problema è poi rappresentato dalle persone sole “di cui la società deve farsi carico: le famiglie sono cambiate e spesso sono composte da un unico individuo. Il nostro impegno è indirizzato alla realizzazione di quella che chiamiamo Eubiosia termine coniato da fondatore di ANT, Franco Pannuti: la vita dignitosa si garantisce portando a casa dei malati non solo le competenze ma garantendo la continuità di ascolto, la presenza e quel sostegno alla speranza che dobbiamo assicurare anche quando non si può più parlare di guarigione”.

Rasia ha quindi concluso con un accenno alla legge sull’Oblio oncologico, approvata dal Senato nel dicembre scorso. “Si tratta di un passaggio estremamente importante: di tumore si può guarire, si può e si deve tornare ad avere una prospettiva di vita rispetto a chi non si è mai ammalato. La persona può tornare a riappropriarsi della propria vita”.

Per Maurizio Taglietti, General Manager di MetLife in Italia, l’incontro di ieri ha rappresentato un’occasione unica di approfondimento di temi nei confronti dei quali la Compagnia ha da sempre espresso una particolare sensibilità. E non potrebbe essere altrimenti considerato che ci troviamo in un contesto come quello attuale in cui assistiamo ai progressi della medicina, all’aumento delle diagnosi di malattie gravi e, allo stesso tempo, ad un welfare che fa fatica a coprire tutte le esigenze di una popolazione sempre più bisognosa di risposte immediate. “MetLife – ha spiegato Taglietti – non è solo una compagnia assicurativa ma un’azienda che si fonda su valori immutati nel tempo: esperienza, solidità, costanza, integrità, prevenzione, responsabilità. Con i nostri 150 anni di storia, assicuriamo 100 milioni di clienti nel mondo e siamo presenti in 40 paesi compresa l’Italia dove operiamo da trenta anni. Nel nostro ruolo ci siamo prefissati di contribuire al raggiungimento di alcuni obiettivi da oggi al 2030 che riguardano l’equità di genere, la lotta ai cambiamenti climatici e la tutela della salute e del benessere delle comunità in cui operiamo. Ascoltando i consumatori e considerando i cambiamenti sociali e demografici, abbiamo deciso di rafforzarci sull’offerta malattia con un focus in particolare su quelle gravi che purtroppo colpiscono indistintamente uomini, donne, giovani e anziani. E proprio dall’attenzione rivolta al tema salute nasce l’idea di questo evento culturale e di divulgazione scientifica: un modo concreto per fornire un servizio di pubblica utilità rivolto sia a chi sta attraversando un momento di bisogno, sia a chi vuole mantenersi aggiornato su tematiche legate alla prevenzione e alle nuove cure, il tutto nel rispetto della nostra mission ‘stare vicino alle persone per costruire un futuro più sicuro e sereno'”.

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