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POTENZA – Il volo, da un ponte di 70 metri, non l’aveva preventivato. Quando si costruisce la propria impresa, si lavora notte e giorno, si guadagna e si offre lavoro, non si pensa mai al peggio. Poi arriva la crisi. E tutto un mondo crolla.
Sacrifici fatti per anni e anni vengono soffiati via in un attimo e tutto quello per cui si è lottato viene cancellato. I debiti si accumulano, le cartelle di Equitalia ti sommergono, i fornitori chiedono che le parcelle vengano pagate e gli operai hanno bisogno dello stipendio. Alla fine non ce l’ha fatta a reggere il peso di questa situazione e così, un imprenditore di sessant’anni della provincia di Potenza ha deciso di risolvere il problema a modo suo.
Ha salutato i suoi operai – circa una cinquantina – si è scusato perché non riusciva più a onorare i suoi impegni ed è andato via. Per non tornare più. L’ultimo viaggio l’aveva già deciso. E si è concluso con il volo da quel ponte.
Si consuma così l’ennesima tragedia, l’ennesima vittima di una crisi che sembra ormai irreversibile. Che non lascia speranze a chi si ritrova in un vortice senza fine, fatto di un continuo correre e rincorrere pagamenti e debiti. Le spese aumentate e, di contro, la chiusura totale di ogni credito da parte delle banche.
E’ una strage quotidiana quella che si registra nella provincia. Una strage che non lascia scampo e, purtroppo, neppure il segno. La crisi, il crollo delle borse sembrano una cosa così astratta e così lontana che non si immagina neppure che abbiano delle conseguenze reali e concrete. E invece hanno un nome e un cognome, hanno mille storie di disperazione e di rabbia. Hanno il dolore di chi vede un’intera vita di lavoro buttata al vento.
«Non ci ascolta nessuno – dicono alcuni piccoli imprenditori di Potenza, raccontando la storia -per tutti noi siamo il nemico, il nemico da abbattere. Che ne sanno gli altri del sangue che sputiamo nelle nostre piccole aziende?».
Il nemico. Chi è il nemico in questo momento? E’ nemico l’imprenditore che non riesce a pagare gli stipendi e, quindi, decide di farla finita? E’ nemico chi continua a coprirsi di debiti pur di non chiudere? E così mentre Equitalia sequestra le macchine perché le cartelle non sono state onorate, gli imprenditori si chiedono come poter uscire da questo tunnel.
«Noi ci proviamo – raccontano – ma è impossibile: qui l’economia è ferma e farsi pagare per i lavori fatti è impossibile. Per non tenere gli operai fermi siamo costretti ad accettare ogni genere di lavoro, anche quelli impossibili. Ovviamente a prezzo stracciato. E se ci va bene quei lavori vengono pagati a distanza di sei mesi. Ormai ci chiedono di pagare le tasse, di pagare l’Iva per lavori per i quali ancora non abbiamo incassato nulla. Reggere il passo è impossibile».
L’aumento del carburante, poi, sta mettendo in ginocchio le aziende di trasporti. «Rispetto a due anni fa – racconta un piccolo imprenditore – io spendo per il carburante all’incirca il doppio per fare gli stessi percorsi. Con la differenza che ci sono tante commesse in meno. E quei pochi rimasti, clienti da una vita, pagano anche loro dopo tanto. E non te la puoi neppure prendere con loro. Anche se quei soldi ti servono disperatamente, non si può far nulla. Ormai mancano proprio i soldi». E’ un cane che si morde la coda: per uscirne qualcuno propone una maggiore flessibilità. Delle banche principalmente che, invece, hanno letteralmente chiuso ogni canale di credito. Basta un piccolo sforamento e l’azienda viene richiamata all’ordine.
Una crisi che, colpendo in maniera così violenta il mondo dell’edilizia, finisce poi per riverberarsi su altri settori: chi può permettersi nuovi vestiti se soldi non ce ne sono? E anche fare spese alimentari è ora considerato un lusso. Si compra il minimo e indispensabile, con la conseguenza di dare il colpo di grazia alla già asfittica economia locale. Quante le aziende che reggeranno l’urto? Quante riusciranno a superare questo momento? Quante altre tragedie dovremo raccontare prima che ci si metta a ragionare seriamente sul problema lavoro? Sì, perché ogni azienda che chiude non cancella solo il piccolo imprenditore, ma anche il lavoro dei suoi dipendenti. «Noi siamo il nemico, chi vuoi che ci ascolti?». E così, nella rassegnazione, si consumano le tragedie.

Antonella Giacummo

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