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LA STAZIONE di Ferrandina è la prima cosa che si vede di Matera, a meno che non si arrivi dall’Oriente, con la littorina che parte da Bari.

Invece, scendendo dall’Occidente, su un pendolino decrepito spacciato per Intercity, si arriva a Ferrandina. In una stazione assai bella, verde e ocra, con i mattoncini rossi, i campanelli e un bar che vende le brioche sfuse nei cesti di vimini, come nella cucina della nonna che aspetta i nipoti per l’estate. Niente tabelloni di arrivi e partenze, né orari. Devi sapere da solo dove andare e se ti sbagli è perché sei straniero o allocco. Wrong is right, diceva Thelonious Monk.

Siamo partiti tutti da quella stazione quando ci siamo trasferiti per studiare, fare, diventare. Ci siamo tornati per le vacanze di Natale, fino a quando non abbiamo preso confidenza con le autostrade di tutta Italia e ci siamo messi a guidare, per rientrare a casa, insieme ai coinquilini degli amici del liceo, ai quali abbiamo raccontato, incazzati, che a Matera non c’è la ferrovia.

Meno male che ora abitiamo in città dove i treni arrivano in centro, nelle stanze da letto dei barboni, a due passi da tram e autobus. Ci siamo evoluti in animali metropolitani insofferenti e abbiamo preso a incazzarci con distacco, ripetendo la storia di rabbia e rassegnazione delle generazioni prima di noi. Come darci torto?

Ultimamente, però, siamo meno arrabbiati. Ai coinquilini dei nostri amici (o alle loro mogli, visto che stiamo iniziando a sposarci), del treno non parliamo quasi più: propaliamo festival della letteratura, peperoni cruschi, Unesco, 2019.

Ci godiamo la sbornia del successo (e se la godono anche i materani a tempo indeterminato): finalmente nei Sassi non si vive di sola focaccia di Paoluccio. Come darci torto?

Tuttavia, colleghi metropolitani, il treno è un affare serio. Non che l’Unesco e tutte le luccicanze che ci hanno portato turisti, design e bella vita non lo siano, ma senza ferrovia non si può essere la capitale europea della cultura perché al massimo si può essere la capitale del tratturo.

So che il presente della città è così cool e scintillante da rendere ragionevole ipotizzare un futuro di espansione imperialistica, in cui La Martella avrà una stazione con 26 binari e la linea Innsbruk- Villa Longo sarà il ponte levatoio  dell’Unione Mediterranea. Tuttavia, per ora, restiamo un patrimonio dell’Unesco (titolo solo un po’ meno supercazzola di “capitale europea della cultura”) in cui arrivare risalendo la Gravina è più confortevole che viaggiando su un’autostrada.

Fintanto che muoversi da Matera costituirà un disagio, saremo una colonia, poco più che una vetrina mozzafiato per culture altrui, a servizio di idee non nostre,  che scimmiotteremo come stiamo scimmiottando la mondanità delle capitali vere, venuta a noia, ormai, persino ai parvenu.

Prima di candidarsi a nuovo trastullo radical chic, Matera deve offrire ai propri cittadini la chance di elaborare la loro cultura.

La più importante di queste chance non può che essere la libertà di partire, godendo i vantaggi del vivere in una città in cui tutte le distanze sono vicinanze e dove, pertanto, non avere un treno è una condanna a non avere pensiero, economia e benessere che siano duraturi, originali, competitivi, esportabili.  

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