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La pillola abortiva Ru 486, utilizzata nella procedura farmacologica

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La Basilicata è seconda in Italia per ricorso alla pillola per aborto, con una percentuale pari al 52,5 a fronte di una media nazionale di 31,9 per cento.

MEDICI del Mondo cattura luci e ombre della situazione nel nostro Paese attraverso dati, interviste e testimonianze raccolti nel nuovo rapporto “Aborto farmacologico in Italia: tra ritardi, opposizioni e linee guida internazionali”. E lancia la campagna “The Impossible Pill” che, con il linguaggio ironico della comica Laura Formenti, attraversa l’Italia dalla Sicilia fino alla cima del Monte Bianco per denunciare le difficoltà di accesso all’aborto farmacologico, un diritto ancora troppo spesso ignorato.

Difficoltà che, evidentemente, in Basilicata sono minori. Già perché i dati dicono che la nostra regione è seconda in Italia per ricorso alla pillola abortiva, con una percentuale pari al 52,5 a fronte di una media nazionale di 31,9 per cento. Si tratta di dati riferiti al 2020 (unici disponibili al momento) dai quali si evince che solo la Liguria fa meglio con il 54,8% di ricorsi all’aborto farmacologico. Seguono il Piemonte (51,6%), l’Emilia Romagna (50,8%), la Provincia autonoma di Trento (45,8%), la Toscana (44,8%), la Calabria (41,2%) e il Lazio (40,7%).

Numeri, comunque, ben lontani dagli altri Paesi europei: in Francia (dove la RU 486 è stata introdotta già nel 1988) e in Inghilterra (nel 1990) gli aborti farmacologici sono oltre il 70% del totale (la percentuale supera il 90% nel Nord Europa), con la possibilità di somministrazione fino alla nona settimana di gravidanza e in regime di day hospital – possibilità che in Italia è stata introdotta solo nel 2020 con l’aggiornamento, da parte del Ministero della Salute, delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza”.

Il 28 settembre si celebrerà in tutto il mondo la Giornata internazionale per l’aborto sicuro: un diritto che in Italia è garantito dalla legge 194 del 1978, ma che spesso nella praticasi trasforma in una corsa a ostacoli e contro il tempo. Nel nostro Paese, infatti, sebbene l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) sia una prestazione compresa nei Lea – l’elenco di prestazioni e servizi essenziali che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini -,poco più della metà delle strutture ospedaliere la effettua, e la pillola abortiva (Ru 486) continua a essere considerata un farmaco rischioso, nonostante in Europa si utilizzi da oltre 30 anni e dal 2006 l’Oms la consideri un farmaco essenziale per la salute riproduttiva. Ma ci sono anche avanguardie, come la Regione Lazio che ha introdotto nel regime ambulatoriale la procedura at home secondo le linee guida internazionali, o come l’Emilia-Romagnache ha iniziato a distribuire la Ru 486 nei consultori.

Il rapporto di Medici del mondo evidenzia che 45 anni dopo la sua entrata in vigore, la legge 194 fatica ancora a trovare applicazione a causa delle forti frammentazioni nell’offerta di strutture e personale medico. Secondo i dati del Ministero della Salute, aggregati e risalenti al 2020, i consultori familiari che effettuano counselling per l’Ivg e rilasciano certificati sono il 69,9% del totale, mentre le strutture con reparto di ostetricia e ginecologia che effettuano Ivg sono il 63,8%.

Inoltre, è obiettore di coscienza il 36,2% del personale non medico, il 44,6% degli anestesisti e il 64,6% dei ginecologi, con picchi dell’84,5% nella provincia autonoma di Bolzano, 83,8% in Abruzzo e 82,8% in Molise. Non solo: come ha rilevato la ricerca ‘Maidatì dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali (e quattro consultori) italiani la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, mentre in 72 è tra l’80 e il100 per cento.

«Per Medici del mondo promuovere e difendere l’accesso alla salute non significa solo fornire cure e assistenza, ma anche sostenere il cambiamento sociale e aiutare le persone a realizzarlo, perché le disuguaglianze nell’accesso alle cure, anche quelle abortive, non fanno altro che riflettere e amplificare le disuguaglianze sociali e di genere – spiega Elisa Visconti, direttrice di Medici del mondo Italia -. L’Ivg è indiscutibilmente una questione di diritto: di diritti umani, di diritto alla salute, di diritto all’autodeterminazione, per poter decidere se e quando diventare madre. E riguarda anche il diritto di scegliere quale procedura – chirurgica o farmacologica, ospedalizzata o autogestita – sia più rispondente alle proprie necessità».

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