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Il rogo nello stabilimento Raro di Matera

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L’amarezza dell’imprenditore: «Solo parole vuote la vicinanza della politica»

MATERA – “Raro” cerca da oltre un mese una nuova sede, ma continua a non trovarla, nella sostanziale indifferenza della politica a tutti i livelli. Quindi, al dramma del rogo che lo scorso 20 luglio ha distrutto la fabbrica del Paip, si aggiunge una ripartenza molto più faticosa del previsto, seppure i presupposti fossero già tutti negativi. Tranne che per la solidità di questa azienda a conduzione familiare, che opera da 40 anni impiegando oggi 27 operai, nella produzione di detergenti ecologici.
A spiegarci la situazione piuttosto complessa, è Francesco Ramundo, il figlio del fondatore della Raro, un giovane imprenditore che vuole rialzarsi per il bene della propria famiglia e dei suoi dipendenti, ma è costretto a confrontarsi quotidianamente con difficoltà di ogni genere. Ad iniziare dalle scartoffie da sistemare per la bonifica del sito, che Ramundo vuole effettuare nel più rigoroso rispetto della normativa e della salute dei residenti, con i quali l’attività aziendale ha da sempre convissuto in pace ed armonia. «Abbiamo ultimato i lavori di messa in sicurezza –ci spiega- tant’è che le analisi condotte da Arpab dal 27 luglio al 27 agosto su eventuali particelle nell’aria, con la cosiddetta torretta di decantazione, hanno dato tutte esito negativo; un dato confermato, peraltro, anche dalle nostre analisi. Voglio rassicurare tutti, dicendo che il tetto della Raro è composto da un manto di cemento-amianto, con una concentrazione di fibra al 2%, solo sui 300 metri quadri della copertura. Dunque, nessun grave rischio per la salute pubblica, ma nonostante questo abbiamo già incapsulato tutto in due giorni di lavoro. Nei giorni scorsi, abbiamo presentato un Piano di bonifica all’Azienda sanitaria materana, che prevede lo smontaggio entro 10 giorni. Attenzione – rimarca Ramundo – parliamo di smontaggio, non demolizione, perché abbiamo speso di più, pur di evitare ogni tipo di sollevamento di polveri.
Attendiamo la risposta dell’Asm e vorremmo stabilire il record di velocità, per tornare alla piena produzione sul nostro sito prima possibile. Se tutto va bene, entro il 20 settembre sarà pulito, poi si inizierà la ricostruzione, che potrebbe protrarsi per tutto l’inverno, almeno fino ad aprile. Nel frattempo operiamo ancora in piena precarietà, con piccole produzioni giornaliere e 15 dei 27 dipendenti in Cassa integrazione. Non siamo ancora riusciti a trovare un capannone, neppure al Paip, dove pare siano tutti in regime di Curatela fallimentare; ne abbiamo visitato ben 44. Noi guardiamo al ritorno produttivo pieno, anche se le condizioni di lavoro al Paip erano già difficili prima dell’incendio, per la ristrettezza degli spazi soprattutto di carico e scarico».
Si è parlato di una vostra intenzione di trasferirvi a Bari, è vero? «Ci avevamo pensato –spiega Ramundo- ma per noi la concordia ed il benessere dei dipendenti viene prima di tutto. Sarebbe stata una soluzione ideale, ma da noi lavorano tante donne e operai provenienti dalla provincia, che subirebbero notevoli disagi, quindi abbiamo rinunciato». Poi Ramundo si sfoga sull’insensibilità delle istituzioni: «Abbiamo ricevuto solo tanta solidarietà a parole –ha detto- ma poi nei fatti la politica non è stata per nulla sensibile alle nostre esigenze; eppure siamo un’azienda tutta materana, l’unica manifatturiera totale tra le quattro operanti, ma non abbiamo goduto di alcuna deroga o agevolazione per imprese in crisi, eppure noi non cerchiamo denaro, ma solo di tornare a produrre. Commercializziamo il nostro prodotto in tutto il mondo, esportando il made in Matera. Ci servirebbero 1.500 metri quadri con gli spazi per gli uffici, siamo pronti a pagare il fitto dal primo giorno». Sulle cause del rogo, non sembrerebbero esserci elementi di dolo: «Lo hanno accertato i carabinieri e l’investigatore privato della nostra assicurazione –spiega Ramundo- la fiamma è partita dal lato nord-est, dove erano stoccati dei bidoni vuoti. Alcuni vicini erano a cena in un giardino esterno attiguo al capannone, ed hanno visto tutti i movimenti di quella sera, dall’uscita dell’ultimo operaio al primo fumo. Anche le telecamere di sorveglianza delle abitazioni private limitrofe, non hanno ripreso nulla di sospetto, né noi abbiamo mai ricevuto minacce o intimidazioni». Oggi, insomma, la Raro è pronta a ripartire e vuole farlo subito, ma serve una spinta nelle procedure di legge, e in questo la politica potrebbe fare tanto. L’ipotesi di trasferimento a Bari è stata scartata per il momento, ma non scongiurata del tutto.

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