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La Corte di Cassazione

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POTENZA – Deciderà la Cassazione su arresti e divieti vari scattati agli inizi di ottobre, e annullati, tre settimane dopo, dal Tribunale del riesame, nell’ambito della maxi-inchiesta dei pm di Potenza sulla “malapolitica lucana”. Dopo un vero e proprio terremoto che ha scosso i vertici della sanità e della politica lucana, con conseguenze, in parte, irrimediabili.

Sono stati depositati lunedì pomeriggio, infatti, i ricorsi a firma magistrati titolari dell’inchiesta, il procuratore capo Francesco Curcio e il pm Vincenzo Montemurro, contro quelle decisioni del Riesame che hanno rimesso in libertà 3 dei 5 destinatari della misura cautelari spiccata dal gip Antonello Amodeo. Vale a dire: Franco Cupparo (Fi), intanto dimessosi dagli incarichi in giunta e Consiglio regionale; l’ex sindaca della disciolta amministrazione comunale di Lagonegro, Maria Di Lascio; e il direttore generale dell’Azienda ospedaliera regionale San Carlo, Giuseppe Spera. Mentre lo stesso Amodeo ha revocato le residue restrizioni in essere, in seguito alla decisione del Riesame, nei confronti di altri due consiglieri regionali in carica: il capogruppo di Forza Italia, Francesco Piro; e il meloniano Rocco Leone.

L’obiettivo primario degli inquirenti è ripristinare le misure cautelari annullate, ma anche evitare un giudicato in senso assolutorio sugli elementi alla base delle stesse. D’altro canto sarebbe oltremodo difficile avviare e portare a destinazione un processo su accuse fondate sui medesimi elementi per i quali, a livello cautelare, non è stata ravvisata l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari a giustificare arresti e divieti vari.

Vincenzo Montemurro e Francesco Curcio

Nei prossimi giorni è attesa la notifica dei ricorsi agli indagati. Perché si svolga l’udienza vera e propria davanti alla Suprema corte, tuttavia, potrebbero volerci diversi mesi. Non è escluso, quindi, che ne riparli a primavera del 2023.

Oltre ad annullare le misure cautelari in essere nei confronti di Cupparo, Di Lascio e Spera, il collegio del Tribunale del riesame presieduto da Aldo Gubitosi (in via di trasferimento a Salerno) aveva respinto anche l’appello proposto dai pm sulla gradazione delle misure cautelari spiccate dal gip Amodeo. Reiterando la richiesta di custodia cautelare in carcere per Leone e Cupparo, inizialmente sottoposti all’obbligo di dimora nel comune di residenza, e Di Lascio, finita agli arresti domiciliari. Come pure la richiesta di arresti domiciliari per Spera.

Alla base delle loro decisioni i giudici del Riesame hanno posto, in particolare, l’assenza di riscontri alle accuse dei supertestimoni dell’inchiesta. Su tutti l’ex dg del San Carlo Massimo Barresi, e l’ex segretario del governatore Vito Bardi, Mario Araneo. Ma anche un avvocato della Regione Basilicata come Valerio Di Giacomo.

Negli atti prodotti dagli stessi inquirenti, d’altronde, erano state evidenziate più volte le possibili ragioni di risentimento nutrite dai tre nei confronti degli accusati. Vuoi per la fine anticipata del rapporto con l’amministrazione regionale in carica, come nel caso di Barresi e Araneo, vuoi per una nomina mancata alla guida dell’ufficio legale di via Verrastro, come nel caso di Di Giacomo.

In ragione di questi motivi di risentimento, quindi, per i giudici del Riesame sarebbe stata necessaria la ricerca di riscontri oggettivi alle accuse avanzate, oltre a quelli offerti reciprocamente da un supertestimone all’altro. Tanto più se si considerano gli «stretti rapporti» tra Barresi e Araneo, dimostrati da due nomine effettuate dal primo, al San Carlo, su ispirazione del secondo: quella del direttore amministrativo, Maria Acquaviva, che non ha avuto remore di parlarne con gli investigatori; e quella della madre del discusso editore potentino Giuseppe Postiglione, protagonista di varie vicende giudiziarie, come sua portavoce.

Il collegio presieduto da Gubitosi ha poi escluso l’esistenza di «elementi concreti idonei a far ritenere che vi fosse un disegno criminale ritagliato su interessi economici privati» dietro al progetto del nuovo ospedale di Lagonegro perseguito da Leone, Piro, Spera e gli altri.

Quanto alle presunte corruttele elettorali consumatesi nella cittadina nella valle del Noce in occasione delle consultazioni comunali del 2020, il Tribunale ha escluso la configurabilità del reato, più grave, di corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio, a favore del reato, meno grave, di corruzione elettorale. Un’accusa, quest’ultima, per cui il codice prevede pene troppo basse per giustificare l’emissione di misure cautelari.

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