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Per il vescovo emerito la vignetta di Laurenzi era un’offesa alla diocesi, per l’autore, una riflessione sul caso Claps, il tribunale archivia la querela presentata da Ligorio


POTENZA – Era ancora arcivescovo di Potenza, Salvatore Ligorio, quando il giudice per le indagini preliminari Francesco Valente ha archiviato la sua querela per diffamazione nei confronti di Giulio Laurenzi, noto autore potentino di satira, per una vignetta. Il giorno dopo papa Francesco ha accettato le sue dimissioni – i due avvenimenti non hanno ovviamente alcun rapporto tra loro – prima di nominare Davide Carbonaro al suo posto.
Il fatto che oggi al suo posto ci sia un altro non elimina l’interesse intrinseco della vicenda: è probabile che quella di Ligorio sia la prima querela mai sporta in Italia da un vescovo contro un’opera satirica.

La vignetta: un prete (visto di profilo, occhiali cerchiati e poi il resto del volto nascosto dal braccio; zucchetto in testa, tonaca lunga, crocifisso al petto, fascia sui fianchi) spinge con una scopa la polvere sotto a un tappeto che copre le spoglie di una persona, un peluche, una grande croce in legno. I ceri votivi accesi danno l’idea di un ambiente ecclesiastico. Sovrasta il tutto una scritta: “Sotto il tappeto”.

Attenzione: questa vignetta, però, è stata pubblicata per la prima volta il 26 marzo del 2010 – dunque subito dopo la scoperta dei resti di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa della Trinità, il 17 marzo dello stesso anno – in una doppia pagina del Quotidiano del Sud nei cui articoli si parla delle responsabilità della chiesa perché, in base alle informazioni raccolte in quei primi tempi, si affaccia l’ipotesi che la salma fosse stata rinvenuta prima del ritrovamento ufficiale. La famiglia Claps si scaglia in quei giorni con particolare veemenza contro la chiesa accusandola di non aiutare le indagini.
All’epoca arcivescovo era Agostino Superbo che non sollevò alcuna obiezione sulla vignetta.

Ligorio, invece, ne viene a conoscenza nell’estate del 2022, quando la stessa è ripubblicata dall’autore sul proprio profilo Facebook in concomitanza con le voci che danno per imminente la riapertura al culto della Trinità, ancora chiusa dopo il sequestro dell’autorità giudiziaria. La vignetta è accompagnata da un commento: «Lemmerde riaprono la Trinità. Hanno deciso». E il vescovo, sentendosi diffamato, querela.

Laurenzi, perché quella vignetta?

«Sono trent’anni che, per lavoro, produco satira su testate locali e nazionali, con qualche incursione su riviste internazionali. Mi è capitato più volte di intervenire sul caso di cronaca che più di altri ha scosso nel profondo gli equilibri emotivi della nostra città: Elisa».

Ma perché ripubblicarla sul web?

«Nell’estate del 2022, in prossimità della notizia della riapertura della chiesa della Trinità e a fare sintesi di un ragionamento profondo, l’ho ripubblicata sul mio profilo di Facebook. Ad accompagnare il disegno, nella riproposizione più recente, c’era in più un mio corsivo, una descrizione caricaturale, indubbiamente forte».

Indubbiamente forte, dice. Ammette che fosse troppo forte?

«Ma no, era un’iperbole corrosiva, di non raro utilizzo nella satira, che ho fatto mia per interpretare un sentimento diffuso e per rimarcare la siderale distanza personale che mi divide dal modo di pensare e di agire di quella parte della comunità che crede sia giusto anteporre il diritto canonico al dolore ancora vivo di una famiglia e di quell’altra parte della collettività che è ancora in evidente credito di verità. Aggiungo anche che in alcune occasioni è opportuno e si deve fare satira cattiva, cercando di non cadere nella trappola della cattiva satira».

Ma a chi si riferiva?

«A nessuno in particolare. Criticavo una scelta: quella di schierarsi a favore della riapertura della Trinità. Condotta incomprensibilmente violenta nei confronti di una madre che, da credente, ha scoperto che la figlia era stata uccisa nel sottotetto di una chiesa nel quale il cadavere era rimasto incredibilmente celato per diciassette anni e che ha letto in un atto giudiziario che tale occultamento sarebbe stato possibile grazie a “un profilo di abbandono e negligenza da parte del Parroco prima e dei suoi diretti superiori, poi (…) senza che alcuno ne rilevasse la presenza, né collaborasse in maniera fattiva alle ricerche”».

Da dove ha tratto questa citazione?

«E’ il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, Elisabetta Boccassini, si pronunciò nel 2011 sulla richiesta di costituzione di parte civile, tra gli altri, della Diocesi di Potenza nel processo per omicidio, ai danni di Elisa Claps e a carico di Danilo Restivo».

Cosa accade in quell’estate di due anni fa?

«Vengo poco dopo interrogato da un funzionario della polizia postale e messo a conoscenza di essere stato querelato per diffamazione. In quell’occasione ho ovviamente confermato la proprietà del profilo social, la paternità delle mie riflessioni e mi sono appellato al diritto di satira».

E poi?

«Verso la fine del 2023 il mio avvocato, Vito Carella, mi comunica che il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione. Scopro allora che a querelarmi era stato il vescovo Ligorio e che lo stesso si era opposto a detta richiesta».

Non le sembra naturale che chi la querela poi voglia proseguire nella sua azione?

«Devo essere sincero: sono rimasto sorpreso e mi ha colpito l’ostinazione. In decenni di attività satirica, pur avendo ricevuto diverse minacce di querela, nessuno si era mai spinto oltre. Un “atto di guerra”, per lo più, non me lo sarei aspettato da un uomo di chiesa in questi tempi orribilmente complicati. Ma va bene così».

Cosa si sarebbe aspettato, allora?

«Dico solo che è un peccato (laico: mi si consenta la battuta) per i pensieri dedicati e le spese sostenute. Risorse che potevano essere utilizzate meglio, magari per aiutare chi ha più bisogno. Lo ritengo comunque un incidente di percorso che rinforza la qualità del mio lavoro. Non dico una medaglia, ma ci siamo vicini».

Arriviamo all’ultimo atto giudiziario: l’udienza in cui si decideva sulla prosecuzione delle indagini.

«Il 30 gennaio scorso c’è stata l’udienza fissata a seguito della richiesta di archiviazione del pm in cui il gip ha sostanzialmente chiuso la vicenda giudiziaria».

Cosa dice, in sintesi, il provvedimento?

«Innanzitutto che nel post non vi sono elementi capaci di identificare con certezza il soggetto ritratto nella vignetta, che di sicuro non era (e non poteva essere, risalendo la vignetta al 2010, ossia molto prima del suo arrivo a Potenza) il vescovo Ligorio. In aggiunta il giudice rimarca ancora una volta la fondamentale differenza fra cronaca, che riporta i fatti, e la critica, in cui si manifesta un’opinione. Per questo non c’era denigrazione nel contenuto del post su Facebook, perché disegnando e scrivendo satira non ho fatto cronaca giudiziaria, ma espresso – e ne rivendico qui ancora una volta il diritto – il mio punto di vista, quello di un autore satirico, su fatti di interesse pubblico».

Altri rilievi?

«Il vescovo Ligorio aveva chiesto di poter effettuare ulteriori indagini sulla vicenda ma il provvedimento del giudice mette in chiaro che non avrebbero avuto alcun esito sul giudizio finale».

Dunque, querela archiviata. Che senso trae da questa vicenda?

«Tutta esperienza, che la vita ci insegna non bastare mai».

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