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POTENZA – Attorno a noi il mondo cambia. Così velocemente che lo Stato, le istituzioni, quasi mai riescono a star dietro a quelle che sono le nuove necessità di una popolazione che, rispetto a trent’anni fa è completamente cambiata. I rapporti di lavoro, il bisogno di assistenza, le necessità quotidiane richiederebbero oggi risposte nuove. Eppure, invece di leggere i dati e capire dove stiamo andando, continuiamo a seguire percorsi tracciati quando il mondo del lavoro era completamente diverso.

Lo fanno le istituzioni e ma anche i sindacati. Resta così fuori dalla platea dei tutelati una fetta importante di quella che oggi è la nuova realtà del lavoro. In questa platea, che offre servizi sempre più richiesti, ci sono le categorie più fragili: le donne, i giovani e gli stranieri. Che, dal punto di vista dei diritti restano nascosti, lavorano in nero per la maggior parte. E che, invece, se si inserissero in un diverso quadro, potrebbero magari portare allo sviluppo di un’economia fiorente. Un primo ambito da analizzare è quello dell’assistenza familiare.
E partiamo dai dati. In Basilicata la popolazione invecchia con ritmi superiori rispetto alla media nazionale. L’ultimo censimento permanente della popolazione è impietoso: «sono 130 mila i residenti con più di 64 anni (+9,8% in Basilicata e +11,9% in Italia); i grandi anziani (con 85 anni e più) passano da 17 mila a 22 mila (+34,1%, +29,4% Italia)». E le prospettive non prevedono grandi miglioramenti: nel 2050 in Basilicata ci saranno 27.000 anziani in più. E parliamo di ultra ottantenni.


Una popolazione che invecchia, giovani che tornano a emigrare, culle sempre più vuote. Questo è il presente e il prossimo futuro della Basilicata. In un contesto come questo, quindi, diventano cruciali figure come quella dell’assistente familiare, quelle che noi chiamiamo “badanti”.
Chi sono, da dove arrivano, quante sono?


Da una verifica fatta sui registri comunali – spiega Pietro Simonetti, componente del Tavolo nazionale anticaporalato – «in Basilicata sono impegnate annualmente oltre 20.000 badanti straniere in maggioranza in nero, quindi senza assicurazione con salari attorno a una media di 700 euro. Nello stesso comparto lavorano anche le donne lucane anch’esse prevalentemente in nero».
Si tratta di un numero – precisa Simonetti – approssimativo ma che ci dice quanto, anche numericamente, queste persone rappresentino ormai una realtà concreta.
Ma poche sono le regole e tanti i reati commessi, come ha messo in luce l’ultima inchiesta della Magistratura lucana, in collaborazione con quella Moldava, che – continua Simonetti – «ha svelato una parte della gestione criminale del caporalato che organizza i flussi delle badanti nella nostra regione. Le innovative tecniche internazionali di accertamento e la strumentazione utilizzata ha permesso di smantellare il gruppo italo-moldavo e di indicare anche le modalità feroci di sfruttamento neoschiavistico.

Un risultato importate che pone ancora una volta la necessità di recuperare il ruolo dello Stato in questo settore del mercato del lavoro e dei relativi interventi di prevenzione e repressione del vasto fenomeno che interessa il nostro Paese. Nel 2020 oltre due milioni di badanti e colf hanno sostenuto il sistema di cura domiciliare. Oltre la metà risulta in in nero».


In Basilicata – secondo Simonetti – la percentuale del nero potrebbe salire addirittura all’85%. Un dato che influirebbe notevolmente anche sulla tenuta, tanto per dirne una, del nostro sistema pensionistico: le nuove entrate, quelle ora in nero, potrebbero sostenere le nostre vacillanti finanze.
Ma fermiamoci ai dati: quelli Istat, e una ricerca di Domina e della Fondazione Leone Moressa, dicono che nel 2019 in Basilicata erano regolari e assicurati 3.115 persone, il 52% stranieri e il 47,4 italiani. A questi lavoratrici si sono aggiunti nel 2020 per la sanatoria 849 unità.

  1. Continua
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