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Fernando Picerno, Vittorio Introcaso, Elena e Michele e Chiara Lasala

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POTENZA – L’occupazione della Casa domotica di Bucaletto è davvero difficile da raccontare. Se n’è accorto l’inviato della trasmissione di Rai Uno “Storie italiane”, Vittorio Introcaso, che ieri mattina si è collegato da Potenza per fare la cronaca e cercare una soluzione a una vicenda che dura ormai da troppo tempo: 451 giorni per la precisione, come segnala il contagiorni che Il Quotidiano pubblica da mesi.

E’ difficile perché si regge su tre ragioni: quella dell’associazione “Dopo di noi” (ieri rappresentata da Chiara Lasala), che da 12 anni lavora a un sogno, nel tentativo di creare uno spazio di vita dignitoso per ragazzi ormai adulti ma affetti da gravi disabilità. Ragazzi che, per ragioni anagrafiche, spesso hanno un solo genitore (e anche anziano) a occuparsi di loro. Ma dopo? Quando non ci sarà più l’unico sistema di welfare che questi ragazzi hanno conosciuto, ovvero le loro famiglie, cosa ne sarà di queste donne e questi uomini cresciuti «imprigionati nei loro corpi»?

Poi c’è la ragione di chi ha occupato, di Elena e Michele e soprattutto di Francesco, 8 anni, affetto da una gravissima disabilità, che gli impedisce di stare in piedi, di mangiare o vestirsi da solo.

E infine c’è la ragione del Comune, stretto tra norme, burocrazia e paura che un passo falso possa costare una condanna, in futuro, della Corte dei Conti. E che concedere a uno crei una falla nel sistema per la quale poi tutti procederebbero nello stesso modo, facendo saltare ogni graduatoria e regola.

Tutti hanno ragione, tutti hanno un bisogno, una vita difficile. Tutti ingabbiati in una situazione che si può tentare di risolvere solo cercando di metterci del buonsenso, consapevoli che dietro ci sono i più fragili, quei figli a cui la vita ha tolto tanto ma a cui ha dato, in cambio, famiglie che li amano e che per loro farebbero tutto. Ed è forse attorno a quel comune amore che si può costruire la possibilità di uscire da questa situazione apparentemente bloccata.

«Noi siamo disposti – hanno spiegato Elena e Michele – a lasciare la Casa domotica anche domani mattina, ma vogliamo in cambio la sicurezza di avere una casa che sia dignitosa per Francesco. Non vogliamo una villa, ci va bene anche un prefabbricato, ma che abbia un bagno che ci permetta di lavare in sicurezza questo bambino. E nel prefabbricato dove eravamo, 60 metri quadri in tutto, lavori per allargare il bagno non si potevano fare».

Una provocazione all’inizio. Così hanno spiegato l’occupazione del 19 settembre del 2022. «Da circa due anni – racconta Elena – chiedevamo al Comune un alloggio che avesse un bagno adeguato. Sfido chiunque a muoversi nel prefabbricato con il passeggino su cui è seduto Francesco. Ma il bagno era essenziale, perché mio figlio non si regge in piedi e dovevo lavarlo in una vaschetta. Un giorno, mentre tentavo di fargli la doccia, mi stava cadendo dalle mani. Ho rischiato di farlo cadere, di fargli sbattere la testa. E lì non ci ho visto più. E siamo andati a sfondare la porta di quell’appartamento nel quale in quel momento non c’era nessuno. Neppure ci siamo entrati per qualche giorno, volevamo solo fare un gesto dimostrativo per smuovere le acque. Ma nessuno ci ha ascoltato e allora siamo entrati». E lì vivono da più di un anno.

I ritardi del Comune li abbiamo già raccontati. Lo stabile è ancora di proprietà dell’Ater e nonostante diversi solleciti per il passaggio di proprietà, le cose erano andate a rilento. E per questo chi occupa trova ancora la casa vuota.

Ora «il Comune ha le mani legate – spiega l’assessore alle Politiche sociali, Fernando Picerno – perché quella è ancora una proprietà dell’Ater. E a loro spettano tutte le vie legali». Ma poiché l’obiettivo è trovare una soluzione, «abbiamo fatto delle proposte alla famiglia degli occupanti – continua Picerno – per liberare l’immobile. Gli abbiamo proposto il bonus fitti, due prefabbricati da unire facendo dei lavori. Non è facile trovare altre soluzioni. Ma il nostro problema ora è liberare la casa in tempi rapidi, perché su quella struttura noi abbiamo avuto un finanziamento di circa 700.000 euro da fondi del Pnrr, che ci consentirebbero di terminare tutti i lavori, prendere gli arredi e avviare le attività. Ma se la casa è occupata rischiamo di perderli, questi soldi, e io ho paura che questo sia l’ultimo treno».

Una responsabilità che Elena e Michele non vogliono: «Abbiamo anche noi un figlio disabile e le problematiche degli altri genitori le capiamo perfettamente. Ma il bonus fitti rischierebbe di farci trovare sotto un ponte a un minimo cambiamento dell’Isee, come è già capitato a tanti altri. E i prefabbricati che volevano unire e darci sono quelli con l’amianto: ma l’assessore ci porterebbe suo figlio a vivere nell’amianto?».

L’emergenza abitativa di una città che del cemento ha fatto quasi la sua bandiera è chiaramente il problema di fondo. Abitare in prefabbricati ormai fatiscenti è un dramma comune, «ma se fossimo stati tutti bene – dice Elena – io non avrei neppure pensato di occupare abusivamente una casa. Io tutto sommato lì stavo bene. Era mio figlio a non star bene, è per lui che siamo qui».

L’assessore Picerno è alla ricerca ora di altri prefabbricati che possano fare al caso di questa famiglia. «E se noi abbiamo questa certezza, domani mattina lasciamo la casa». Uno spazio – ne è consapevole Elena – che un giorno, se avviata e funzionante, potrebbe servire anche a suo figlio.

«Quello che vorrei far capire – dice Picerno – è che dopo la legge Bassanini noi assessori non ce l’abbiamo tutta questa libertà di movimento. Io ho il potere di indirizzo, devo cercare le risorse necessarie, ma se poi il mio dirigente non mette la firma io ho le mani legate. E vorrei fare e risolvere le questioni più velocemente di quanto non succeda effettivamente, ma la burocrazia che c’è dietro a ogni atto è terribile.

Nei prossimi alloggi a Bucaletto abbiamo previsto che ci siano tutti i primi piani attrezzati per i disabili. E’ chiaro che ci vorranno anni e questa non può essere la risposta per questa famiglia, ma sappiamo che le esigenze ci sono. Ma – e anche questo è un altro problema – perché le case vadano a persone con disabilità e residenti a Bucaletto bisogna cambiare la legge regionale, perché si ripartiscano le quote in maniera differente. Altrimenti da questa situazione non usciamo più».

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