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Luca Camodeca

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L’intera comunità di Cersosimo è addolorata per Luca Camodeca, il 40enne morto sul lavoro in un cantiere a Noepoli

CERSOSIMO – Il cielo grigio, cupo, il sole si nasconde tra le nuvole e non riesce più a illuminare a riscaldare, come nei giorni scorsi, donne, uomini e cose. Una giornata di dolore, dove quei pochi sguardi che si incrociano sono spenti. Gli occhi brillano, ma non di felicità; raccontano, invece, tutto il dolore, il dramma che i concittadini del povero Luca Camodeca, morto martedì scorso, a soli 40 anni, stanno vivendo. Il suo corpo è ancora all’ospedale di Chiaromonte a disposizione dell’autorità giudiziaria, ma a Cersosimo, suo paese d’origine, ci si prepara al funerale che sarà accompagnato probabilmente dalla dichiarazione di lutto cittadino. E alle esequie per l’ultimo saluto a Luca è prevista anche la presenza di Vincenzo Carmine Orofino, vescovo Tursi-Lagonegro.

Un giovane lavoratore, sempre con il sorriso, affabile, amico di tutti, uscito di casa per recarsi su quel cantiere che è diventato il suo sudario. Un cimitero di storie, un luogo capace di cancellare vita e sogni.

Tanti erano i progetti di Luca, come quello di condividere il suo futuro con la giovane fidanzata, che voleva portare davanti all’altare il prossimo anno. Lavorava anche per questo, soprattutto per questo si impegnava giorno e notte. Un lavoro duro, ma onesto, come gli avevano insegnato i suoi nonni, i suoi genitori.

Sul tavolo il pane si doveva portare grazie al sudore della fronte, quella fronte da portare sempre luminosa e alta per le vie del paese e del mondo. Le parole e i consigli dei suoi cari erano guida certa, forte, sicura, e ne hanno tracciato il cammino sino a ieri. Il matrimonio, poi, che stava preparando con cura e da tempo, lo avrebbe legato per sempre alla sua amata, alla sua compagna di vita.

Chissà com’è stato l’ultimo bacio. Quali e come le ultime parole, l’ultimo sorriso, l’ultimo sguardo, l’ultimo abbraccio. Addio ai momenti di tenerezza, mai più i corpi si sfioreranno, nessun fiore sarà più condiviso; nessun colore, nessun profumo, nessun sapore sarà più lo stesso.

La festa si è trasformata in dramma. Il lutto con i suoi abiti scuri segnerà le storie di due ragazzi; quelli per la festa, l’abito bianco, il doppiopetto, non verranno più indossati. Il sorriso, la gioia, una nuova famiglia, una nuova casa muoiono su quel terreno rossastro di Noepoli, tra cespugli, ginestre e alberi bruciati dalla calura, poco dopo una strada sterrata.

Sullo sfondo, eterno, si erge il Pollino e più avanti, oltre il fiume Sarmento, arido e dai ciotoli bianchi, freddo come la morte, si intravedono, alzando appena lo sguardo, le sagome e i tetti della sua Cersosimo. Tante le domande che si accavallano nella piazza del paese.

I tanti perché si confondono con le tante risposte. Interrogativi che reclamano un briciolo di verità. Si vuole capire, si cerca di sapere, mentre donne e comari pregano e si segnano la fronte, non riuscendo a trattenere le lacrime che scorrono tra i rivoli dei visi, segnati dal tempo, verso le labbra che ancora una volta assaporano l’amaro della vita.

Il pensiero di molti è anche per i familiari, i parenti, i genitori che a tarda sera non sapevano ancora della morte del figlio. Nessuno, proprio nessuno li ha avvisati, per pietà o per premura. Poi, sul tardi, qualcuno decide di dare la brutta notizia alla mamma, al papà. Lo strazio è tanto. Le grida e i lamenti squarciano la sera.

L’oscurità della notte diventa abisso, sconforto, nulla eterno. Le tenebre col mantello nero, senza il luccicare delle stelle, coprono d’un colpo le speranze, le fatiche e gli affanni di un’intera esistenza. Luca tornerà ancora una volta nella terra natia, ma in una bara bagnata di lacrime, toccata e baciata da chi gli ha dato la vita e da chi lo ha amato sino alla morte.

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