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Sempre alla ricerca di novità, con intrecci tra la musica popolare e spirituale. «La Basilicata? È il suono delle tarantelle»

MELFI (PZ) –  Quarant’anni di carriera alle spalle e sessantasette anni di età non hanno cambiato il suo carattere di menestrello della musica italiana. Angelo Branduardi suona e fa la sua musica nelle piazze e nei teatri di tutto il mondo.
E’ un vorace divoratore di scoperte musicali, di studio della storia della musica, alla ricerca di note trascinanti e quasi metafisiche. I suoi concerti come i suoi dischi sono un intreccio di spiritualità e popolare. E’ un polistrumentista e durante i suoi concerti spesso con virtuosismi al violino e con l’uso di loop station compone atmosfere di particolare bellezza con venature magiche e diaboliche. Questa sera alle 21.30 avrebbe dovuto esibirsi in piazza Duomo a Melfi, ma la tappa è stata annullata per motivi personali dell’artista.

Qualche ora prima dell’annullamento del live,  il maestro Branduardi era riuscito a ritagliare alcuni minuti per un’intervista al Quotidiano del Sud.
Maestro, è stato molto in Basilicata in questi anni. Che suono ha questa terra per lei attento cultore del suono delle cose?
«Il suono della Basilicata è sicuramente un suono popolare. Tarante e tarantelle sono tra le cose più belle che musicalmente si fanno in Italia. E’ una terra molto bella e sta uscendo da movimenti grandi e vedo un futuro buono».
Melfi è tra le prime date di questo suo tour autunnale e invernale. Cosa succederà in questi concerti?
«Ci sarà di tutto un po’. Ciò che si vorrebbe ascoltare da Branduardi e non si è mai osato chiedere. Nulla verrà risparmiato. Ci saranno i successi che se non li faccio la gente mi lincia e poi ci saranno cose più particolari, meno conosciute ma che magari piacciono a me. La scaletta non è fissa varia in base alla reazione che abbiamo. Il suono poi si adatta sempre al luogo, ma a volte il luogo si adatta al suono. Con il tempo sono diventato meno rumoroso. Tendo ora a essere più fra le righe e non a imporre: proporre e più bello che imporre. L’atmosfera che si creerà non si può dire, il massimo che ci si può aspettare è una specie di piccola trans dove ci si alza di mezzo metro da terra. Questo sarebbe il sogno più grande».
Lei ha avuto una carriera molto particolare, non è mai stato un percorso lineare e ha fatto musica solo quando davvero voleva farlo. Sperimentazioni, viaggi, scoperte e tanta spiritualità. C’è qualcosa di diabolico nella sua musica che porta chi ascolta altrove, magari in quel luogo immaginato dalla poesie di Rimbaud?
«Sicuramente mi sento un viaggiatore che spera di non diventare naufrago. Il mio uso della musica è molto spirituale. C’è qualcosa di indubbiamente diabolico nella musica. Il primo concetto della musica è la spiritualità. Come dice il mio amico Ennio Morricone la musica è la più vicina a Dio perché è l’arte più astratta. Certo ha anche una parte corporea che è quella della trans con il ritmo. La musica unisce un po’ il diavolo e l’acqua santa. L’obiettivo dopo un concerto è far sentire un po’ estraniati dal mondo, fuori dal proprio contesto storico, dall’eterno scorrere delle cose».
La sua musica sarà pure spirituale, ma molti suoi brani sono incastonati ormai nella cultura popolare. Penso al brano “Alla fiera dell’est”. Ho visto madri cantare questo brano ai bambini, eppure è un pezzo molto violento nel testo. Come si arriva nel profondo di una cultura popolare?
«Con quel brano è successo un qualcosa di inimmaginabile. Mi dà un pizzico di immortalità. Da che era una canzone mia è diventata una canzone di patrimonio popolare e in un certo senso non mi appartiene più. Se si chiede a un bambino della scuola elementare chi è Branduardi non lo sa. Se si dice “Alla Fiera dell’est ” immediatamente la ricorda. E’ molto violento il testo. Può essere vista però come un esorcismo. La musica iterativa è la prima musica prodotta dall’uomo: musica iterativa significa una musica composta da due note che si ripetono ed è quella di “Alla fiera dell’est”. E’ una delle forme più antiche della musica popolare ed è quindi anche nel patrimonio genetico degli ascoltatori».
Come si fa ad avere ancora dopo tanti anni la stessa forza del menestrello della musica italiana e a che punto del cammino è oggi Angelo Branduardi?
«Non lo so come si fa. Non ho la minima idea. Scrivo per piacere, mi piace stare sul palco. Non mi faccio delle strategie. A volte le cose vengono belle e a volte meno belle. Come tutte le carriere migliori, la mia non è lineare. Oggi Angelo Branduardi non lo sa a che punto è. Sono secondo me in mezzo al guado, fortunatamente. Non sono arrivato dall’altra parte, quando si arriva la storia è finita».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«Sicuramente ha a che vedere con la musica. La musica è la forma più alta e astratta di Bellezza che ci sia».

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