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Nonostante i turni stabiliti dal tribunale, l’uomo non riesce ad abbracciare la bimba da un anno

CATANZARO – «Aiutatemi a rivedere mia figlia. Da più di un anno non ho più la possibilità di guardarla negli occhi, di abbracciarla, di dirle di persona quanto le voglio bene».

Un grido disperato quello che un padre catanzarese affida, ormai stremato, alle colonne del Quotidiano del Sud. Un’altra strada tentata per rivedere la sua bambina visto che, quella ordinaria dei tribunali e delle caserme, non ha portato, almeno per il momento, a un risultato concreto. Il signor Mario (utilizziamo, nell’articolo, nomi di fantasia), 59enne catanzarese, ormai dallo scorso mese di ottobre, non riesce a incontrare sua figlia Francesca, di sette anni, perché gli viene impedito dalla sua ex compagna, una donna cubana di 24 anni più giovane di lui.

Tutto questo nonostante ci sia un decreto del Tribunale di Catanzaro del luglio 2016 che, pur stabilendo l’affidamento esclusivo della minore alla madre (che risiede a Catanzaro Lido), regolamenta il diritto del papà a tenerla per sé “due giorni a settimana, il martedì e il giovedì, dalle 17 alle 19; un fine settimana alternato, dalle 10 del sabato alle 19 di domenica; ad anni alterni, dal 23 al 29 dicembre oppure dal 30 dicembre al 6 gennaio, il giorno di Pasqua o il lunedì dell’Angelo; nel periodo delle vacanze estive, ad anni alterni, due settimane, anche non consecutive, da stabilirsi entro il 30 maggio di ogni anno; e sempre ad anni alterni, le restanti festività e il giorno del compleanno della piccola”.

Insomma, un calendario ben dettagliato che, purtroppo, da ormai troppo tempo non viene più rispettato e, anzi, secondo quanto raccontato da Mario, si è tramutato in un totale distacco nei confronti della piccola. E a nulla è servita una lunghissima battaglia giudiziaria, a nulla sono serviti un richiamo ufficiale del presidente del Tribunale dei Minorenni e un appello del Garante dell’Infanzia. A nulla sono servite, infine, le decine di denunce che Mario ha presentato tra Questura, carabinieri e Procura ogniqualvolta il suo diritto di incontrare la bambina gli è stato negato.

Una lunga battaglia giudiziaria che si protrae dal 2013, quando i contrasti interni alla coppia portarono la donna ad allontanarsi dalla casa in cui vivevano, portando con sé la bambina. Inizia così la “guerra” a colpi di accuse reciproche e querele (il signor Mario è anche finito a processo per presunte violenze familiari, ma il procedimento a suo carico è stato archiviato nell’aprile 2016 perché il giudice ha ravvisato litigi reciproci tra lui e la compagna), arrivata poi a un decreto del Tribunale per i minorenni di Catanzaro del 2015 che, di fatto, affidava la bimba alla madre e regolamentava il diritto di visita del padre. Già da allora, però, le cose non sono andate come dovuto.

«Dopo i primi e pochissimi incontri, la mia ex compagna ha iniziato a opporsi e quando arrivava il giorno di incontrare mia figlia, con una scusa ogni volta diversa, l’incontro saltava», racconta Mario. Uno stato di cose durato per un tempo lunghissimo: undici mesi, da settembre 2015 ad agosto 2016. Nel frattempo sono proseguite le denunce (inutili) e anche il ricorso presentato da Mario per ottenere l’affido della piccola Francesca viene rigettato, con il decreto emesso il 28 luglio 2016 dalla Prima sezione civile del Tribunale di Catanzaro che, tra le altre cose, pone a carico dell’uomo un assegno mensile di 150 euro per il mantenimento della minore. «Oltre al danno la beffa – spiega Mario –, perché, in seguito a una delicata operazione al cuore, ho un’invalidità totale e sono costretto a vivere con un’indennità di 289 euro mensili».

Ma questa è un’altra storia. Il decreto viene appellato (il procedimento, nel quale Mario è difeso dallo studio legale Bova, tra rinvii e udienze senza esito, è ancora in corso e non ha portato ad alcun risultato), ma nel frattempo la situazione non cambia. Da parte della ex compagna l’ostracismo continua e, a partire dal mese di ottobre 2016, secondo la versione di Mario, non gli è più dato di incontrare la sua bambina, nemmeno nei giorni prescritti. «Mi sono recato regolarmente agli incontri presso l’abitazione della mia ex negli orari previsti dal decreto per prendere mia figlia Francesca, e qui ho aspettato invano il suo arrivo, come ormai accade da diversi mesi» è il mantra che si ripete nei vari esposti presentati da questo padre in Questura, denunciando la donna per «mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice». Finché, perse le speranze, ha anche smesso di denunciare. «Faccio presente – si legge nell’ultima querela depositata il 7 febbraio scorso – che da oggi in poi non sarò più presente agli appuntamenti fissati dal Tribunale, in quanto la situazione è ormai cronicizzata e le dichiarazioni resemi dalla madre sono quelle di non voler più portare la bambina agli incontri. Invito le autorità preposte a risolvere tale situazione».

Un appello ancora oggi inascoltato. È questo l’aspetto inquietante in questa brutta vicenda. Al netto delle motivazioni e delle dinamiche di una coppia che decide di interrompere una relazione; indipendentemente se sia giusto o meno l’affido di un figlio a uno o all’altro genitore; resta inspiegabile come sia possibile violare una sentenza emessa da un giudice italiano senza che nessuno sia in grado di farla rispettare. E in questo caso la situazione è ancora più grave. Perché a essere negato non c’è solo il diritto di un padre di essere partecipe alla vita di sua figlia, ma anche quello di un’inconsapevole (e incolpevole) bambina di 8 anni di poter crescere con serenità e con la figura di entrambi i genitori.

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