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Un'aula di tribunale

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CATANZARO – Gli scappa la pipì e si ferma un attimo in aperta campagna per liberarsi, ma proprio in quel momento passano da lì i carabinieri che, inflessibili, lo multano di brutto: cinquemila euro per una sgrullatina, niente male. È la disavventura in cui il 3 novembre del 2020 incappa il catanzarese G, L., dipendendente Rai di 60 anni, che alla guida del furgone aziendale percorre di buon mattino la Strada provinciale 46 nei pressi di San Floro.

Atti contrari alla pubblica decenza, è questa l’accusa che i militari della stazione di Borgia gli contestano dopo averlo colto in flagrante, mentre tira su la cerniera e con una macchia d’urina poco distante a testimoniare ciò che si è appena consumato. È il corpo del reato, o meglio ancora: il reato di corpo.

Cinque mesi dopo, la Prefettura di Catanzaro gli notifica il salasso, ma il sessantenne si oppone al pagamento della sanzione e la vicenda finisce davanti al Giudice di pace Francesco Lecce. Quest’ultimo, a quasi due anni di distanza da quel bisognino “incriminato”, gli darà ragione.

Per due buoni motivi, gli stessi evidenziati nel ricorso approntato dal suo difensore, l’avvocato Giovandomenico Gemelli. Il sessantenne, infatti, ha la prostata ingrossata, circostanza che aveva rappresentato anche ai carabinieri senza, però, ottenere soddisfazione. Allegherà poi l’apposito certificato medico. Si dirà: avrebbe potuto farla in un bar, raggiungere un bagno pubblico, ma si era allora in pieno lockdown, ragion per cui non c’erano alternative al trattenerla. E date le sue condizioni di salute, non sarebbe stata la migliore delle soluzioni.

Morale della favola: “evidente stato di necessità” e “assenza dell’elemento psicologico del reato” saranno le motivazioni addotte del giudice che, pur rimarcando la condotta “oggettivamente riprovevole”, annulla l’ingiunzione di pagamento. Sembrerà incredibile, ma non è una finzione. Semmai una minzione.

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