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Antonio Gallo

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Sigilli ai beni del “Principino”, l’imprenditore di Sellia Marina Antonio Gallo. Sequestro per un valore di 15 milioni di euro

SELLIA MARINA – Dopo due anni di 41 bis, e dopo essersi beccato una condanna a 30 anni di reclusione, scatta un sequestro di beni per un valore di 15 milioni di euro per il “principino”, alias Antonio Gallo, l’imprenditore di Sellia Marina, secondo la Dda di Catanzaro a servizio delle cosche, che avrebbe gestito in regime di sostanziale monipolio il settore delle forniture di dispositivi antinforunistici.

Gallo è la figura chiave dell’inchiesta che nel gennaio 2021 portò all’operazione Basso Profilo, condotta dalla Dia contro una presunta cricca affaristico-mafiosa di cui, secondo l’accusa, avrebbe fatto parte perfino l’ex assessore regionale al Bilancio Franco Talarico, per il quale in Appello la pena di cinque anni per voto di scambio è scesa a 1 anno e 4 mesi essendo stato riqualificato il reato più grave in violazione della legge elettorale.

Del resto, Gallo, imputato di associazione mafiosa e altro, secondo gli 007 della Dia era “di casa” dal boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, vertice indiscusso di una “provincia” di ‘ndrangheta, ma anche dai capobastone di San Leonardo di Cutro, Roccabernarda e Mesoraca. Ma di lui avrebbe parlato anche il boss di Papanice Mico Megna perché gli era stato chiesto appoggio da un concorrente campano per affidamenti diretti dal Consorzio di bonifica Jonio crotonese. Megna, dopo avere saputo che l’eventuale suo appoggio avrebbe pregiudicato Gallo, avrebbe ricusato il competitor.

I sigilli sono stati apposti dalla Dia su sette imprese con il loro compendio aziendale; quote societarie; 11 beni immobili; 30 beni mobili; 23 rapporti finanziari per un valore complessivo stimato in oltre 15 milioni di euro. Stando a gli accertamenti patrimoniali coordinati dal pm Antimafia Paolo Sirleo, ripercorsi nel provvedimento emesso dalla presidente della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro, Emma Sonni, Gallo dal 2005 al 2013 non sarebbe stato in grado, insieme ai suoi familiari, di badare al soddisfacimento di esigenze primarie – almeno questo diceva la sua dichiarazione dei redditi – ma dal 2014 al 2020 si registra un aumento esponenziale di entrate e uscite, secondo gli inquirenti con provviste di denaro di provenienza illecita.

Durante l’inchiesta è stato censito il caratteristico scambio di doni nelle festività comandate, quale segno di reciproco rispetto. Gli inquirenti rilevano anche l’ostentato legame con le cosche reggine e il fatto che l’imputato vantasse di avere aperto una filiale della sua ditta nel quartiere Archi, storica roccaforte delle più importanti cosche di Reggio Calabria (i De Stefano Tegano Condello).

Al di là dell’appoggio alle elezioni nazionali del 2018 all’assessore regionale Francesco Talarico, costato al politico l’arresto – poi revocato – per voto di scambio, Gallo è una figura centrale dell’inchiesta anche per la messa a punto di una organizzazione servente le cosche (Trapasso di Cutro, Bagnato di Roccabernarda, Ferrazzo di Mesoraca) finalizzata a commettere reati tributari. Il volume di affari del sodalizio si sarebbe aggirato intorno ai 250 milioni in termini di false fatturazioni emesse da società cartiere.

Anche i collaboratori di giustizia ne parlano. Il pentito di Roccabernarda Domenico Iaquinta ricorda i “regali di super lusso” al boss Bagnato. «Gli mandava champagne, buttigghja e na colomba artigianale, ve l’haj dittu». Non solo champagne. Nel 2018 Gallo avrebbe acquistato ben 18 orologi Rolex da destinare agli uomini dei clan. Tra i beni sequestrati ci sono, non a caso, cinque Rolex e due lingotti d’oro.

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