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Vincenzino Iannazzo

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LAMEZIA TERME – È morto nell’ala sanitaria del carcere di Parma Vincenzino Iannazzo, 67 anni, “il moretto”, che era ritenuto il capo dell’omonimo clan (in carcere da maggio 2015, salvo un mese di arresti domiciliari nella primavera del 2020, per l’operazione “Andromeda” per la quale aveva subito una condanna in via definitiva a 14 anni e 6 mesi di carcere).

Da tempo le sue condizioni di salute si erano aggravate tant’è che il gip del Tribunale di Catanzaro, Simona Manna, a ottobre scorso, aveva disposto – a seguito di reiterate istanze avanzate dagli avvocati Salvatore Cerra e Mario Murone – la sospensione del procedimento scaturito dall’operazione “resa dei conti” scattata a ottobre 2020 nei confronti di Vincenzino Iannazzo (accusato di aver avuto il ruolo di mandante in duplice omicidio di stampo mafioso verificatosi 21 anni fa) poiché ritenuto attualmente incapace di partecipare coscientemente al processo per ragioni di salute.

La richiesta relativa al necessario accertamento medico legale in termini di incapacità processuale, era stata avanzata il 15 luglio scorso dalla difesa e poi accolta dal gip, il quale disponeva il conferimento dell’incarico e l’inizio delle operazioni peritali. Il consulente nominato dal Tribunale – su istanza degli avvocati – aveva quindi accertato le gravi condizioni di salute cui versava l’imputato, le quali lo rendevano incapace di comprendere le accuse nei confronti. Il gip aveva anche fissato per il 6 aprile 2022 un’altra udienza al fine di disporre ulteriori accertamenti peritali sullo stato dell’imputato, disponendo la citazione del Ctu (Consulente tecnico d’ufficio).

Ad aprile del 2020, Vincenzino Iannazzo, era stato tra i primi esponenti della criminalità organizzata in Italia a essere scarcerato per ragioni di salute legate all’emergenza covid-19 e aveva lasciato il regime del 41-bis del carcere di Spoleto per andare ai domiciliari presso la sua residenza lametina. Ma un mese dopo Iannazzo tornò in carcere (nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo) a seguito del decreto dell’allora ministro della Giustizia, Bonafede.

Dopo quasi 5 anni in cella, infatti, ad aprile 2020 la Corte d’Appello di Catanzaro concesse i domiciliari (con braccialetto elettronico) per il rischio di infezione da Covid – 19 grazie anche al parere del consulente tecnico, il quale, chiamato a rivalutare la compatibilità del regime carcerario in ragione dell’emergenza sanitaria in corso per la diffusione del contagio da Covid – 19, rilevò, tra l’altro, «l’attuale incompatibilità in permanenza dello stato epidemico e in assenza di protocolli terapeutici efficaci validati o di vaccino, trattandosi di soggetto particolarmente a rischio, per caratteristiche di genere (maschile), età e deficit immunitario da terapia cronica antirigetto».

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