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Francesco Megna

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BOTRICELLO – Un incubo durato quaranta giorni, durante i quali ha rischiato più volte di morire a causa di un infarto seguito da continue trombosi che lo hanno costretto a sottoporsi a diversi interventi chirurgici, alcuni dei quali particolarmente critici. Francesco Megna ha 45 anni, sposato e con due figlie, è un agente della polizia municipale di Botricello.

Il suo incubo è iniziato la fine dello scorso mese di maggio, pochi giorni dopo essersi sottoposto al vaccino anticovid con Astrazeneca. Dopo questo lungo calvario, è tornato a casa ed ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Sono stati loro a spingerlo in questa difficile battaglia, insieme al personale medico che gli è sempre stato vicino.
Il suo racconto, come è ovvio che sia, è molto critico rispetto alla gestione dei vaccini.

I medici hanno riscontrato un nesso tra il suo grave malore e la somministrazione di Astrazeneca, dovuto alle precedenti condizioni di salute che avrebbero dovuto suggerire maggiore attenzione: «Dopo la mia esperienza penso che ci sia grande superficialità nella somministrazione – ha raccontato – con medici alle prime armi che non hanno l’esperienza nell’ascoltare i pazienti e le patologie. Nel mio caso, ho portato analisi con valori alti di colesterolo e omocisteina, ma il medico non ne ha tenuto conto nonostante le mie insistenze».

Quello di Francesco Megna è un dubbio drammatico: «Si fa solo la corsa a chi vaccina di più, tanto gli effetti collaterali sono minimi rispetto alla copertura che si ottiene sulla popolazione. Però, quei pochi casi critici sono padri di famiglia o ragazze diciottenni che vengono strappate alla vita ingiustamente, considerati anche i consigli dell’Aifa sull’utilizzo di determinati vaccini, in determinate fasce di età, ma che sia le regioni che il ministero della Salute hanno ignorato».

Megna è preoccupato anche per il futuro: «Non sappiamo quali altri effetti potranno esserci rispetto a vaccini testati velocemente. In questo momento ho troppi dubbi».
La sua è una vicenda complessa, per la quale, tra l’altro, è stato presentato un esposto alla magistratura da parte della moglie e della sorella, proprio perché possa essere fatta chiarezza sull’opportunità di somministrare il vaccino davanti alle analisi del sangue presentate dall’uomo.

Quel che è certo è che gli ultimi quaranta giorni hanno segnato la vita dell’agente di polizia locale: «Sono stati un vero incubo – ha raccontato al Quotidiano – prima l’infarto con l’intervento di coronografia per il posizionamento di due stent che, però, si sono chiusi dopo due ore. In quel momento ho percepito un dolore che era dieci volte più forte dell’infarto e pensavo di non farcela. Solo con la somministrazione di morfina sono riuscito a resistere».

Il passo successivo è stato un nuovo intervento chirurgico, al termine del quale «è stato riscontrato un trombo nel ventricolo sinistro di tre centimetri – ha spiegato. A quel punto ho pensato che non ne sarei più uscito e non so dove ho preso la forza psicologica per andare avanti e affrontare il resto, visto che poi sono subentrate le trombosi alle gambe con interventi rischiosi a causa dei valori esistenti e del tipo di coagulazione del sangue».
Davanti agli occhi di Francesco Megna, però, c’era una sola immagine: «L’unico conforto era quello di sentire mia moglie e le bimbe che mi hanno dato la forza di resistere, mentre il personale sanitario mi ha sempre tranquillizzato dicendo che avrei superato tutto».

Ed è proprio al personale sanitario che Megna ha voluto rivolgere i suoi ringraziamenti: «Devo tutto al reparto di terapia intensiva coronarica dell’ospedale “Pugliese” di Catanzaro, guidato dal primario Vincenzo Ciconte, per la professionalità con cui hanno affrontato e risolto il mio caso molto raro. Ringrazio tutti i medici, anche quelli degli altri reparti che hanno prestato consulenze urgenti pur di salvarmi la vita, quindi gli infermieri che mi hanno confortato e seguito ogni giorno. Ricordo Stefania, Elvira, Elisa, Luana, Giusi, Maria, Mariateresa, Anna, Rosanna, Francesco, Antonio, Vittorio, Alessandro, Pasquale e Fiore. Poi tutti gli operatori socio sanitari: Elisa, Mirko, Alessandro, Pasquale, Silvana, con i tirocinanti Teresa e Gaetano. Non per ultima la mia famiglia, che non mi ha mai lasciato solo un solo istante, nonostante le tante restrizioni. Dobbiamo raccontare anche le esperienze positive della nostra sanità – ha concluso – e l’Utic del “Pugliese” è un’eccellenza che merita di essere valorizzata e riconosciuta».

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