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Federico Buffa

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CATANZARO – Federico Buffa è divenuto popolare prima come commentatore del basket americano, e poi con i suoi racconti sui mondiali di calcio e sui miti della pallacanestro trasmessi sulle reti Sky. La sua popolarità e capacità di narrare storie di sport ha attirato negli ultimi tempi anche il mondo del teatro.

Due anni fa iniziò un tour teatrale mettendo in scena uno spettacolo sulle olimpiadi di Berlino del 1936. Da circa un anno Federico Buffa ha iniziato un secondo tour teatrale dedicato ad un altro mito sportivo: Muhammad Ali. “A Night in Kinshasa” è il titolo dello spettacolo che sabato sera il giornalista sportivo ha portato in scena al Politeama di Catanzaro.

In occasione della sua tappa calabrese abbiamo avuto la possibilità d’intervistarlo.

Perché ha deciso di dedicare un intero tour teatrale a Muhammad Ali?

«In questo spettacolo mi soffermo soprattutto sull’incontro di pugilato svoltosi il 30 ottobre 1974 a Kinshasa, nel Congo, tra George Foreman e Muhammad Ali, che assegnò a quest’ultimo il titolo dei pesi massimi. Ali affrontò Foreman alle quattro di notte, con 40 gradi di temperatura, 90per cento di umidità, e si trovava di fronte ad un avversario più giovane di sette anni rispetto a lui. Nonostante tutto ciò riuscì a vincere il match. Per l’importanza sportiva e sociale dell’evento si tratta della singola prestazione sportiva più importante del ventesimo secolo».

Che importanza ha avuto per lo sport e per la società Muhammad Ali?

«Premettiamo che gli afro-americani hanno avuto un’importanza incredibile nella storia del ‘900, e gli sportivi africani in generale, hanno capacità atletiche elevatissime. Muhammad Ali è tutt’oggi il punto di riferimento per qualsiasi atleta di colore, anche perché è stato il primo afro-americano a ribellarsi all’establishment».

Lei non nasce come uomo di spettacolo, ma lo è diventato. Ci racconti il suo rapporto con questo mondo.

«Mio padre mi portava a teatro da quando avevo 8 anni. Sul palco si avverte un’atmosfera particolare perché il pubblico ti sente respirare, e tu senti loro, mentre in televisione è tutto più freddo e faticoso. Poi sono un grande appassionato di cinema».

Che considerazione ha dello sport in Calabria, e cosa pensa possa aiutare lo sport calabrese a fare dei passi avanti?

«Mi viene da dire: fatti una domanda e datti una risposta. I calabresi dovrebbero domandare a loro stessi questa cosa e sapersi dare una risposta. Ma oltre che in Calabria lo sport fatica in tutta Italia, perché è scarsamente considerato dallo Stato. Nella Costituzione non c’è una singola frase che citi lo sport, e da quando l’attività sportiva è stata ridimensionata nelle scuole rispetto al periodo fascista, la sua rilevanza educativa è diminuita tantissimo».

Tempo fa qui a Catanzaro si era parlato della possibilità di farti raccontare la storia del centravanti Massimo Palanca. Le piacerebbe?

«Sarebbe affascinante. Si tratta di un calciatore con il quale sono cresciuto, e di cui mi ha sempre colpito il fatto che sia riuscito ad attirare a suo favore le condizioni avverse della natura, come il forte vento dello Ionio che spira da queste parti. La sua capacità di segnare direttamente da calcio d’angolo dipende da questo».

C’è una storia di sport che vorrebbe raccontare e che non ha ancora potuto portare davanti al grande pubblico?

«La Jugoslavia dei primi anni Novanta. I ragazzi di oggi non sanno quanto fosse veramente vicina a noi la guerra dei Balcani. La nazionale di calcio della Jugoslavia che partecipò ai mondiali del 1990 sapeva che si trovava a vestire per l’ultima volta quella maglia, perché a breve sarebbe arrivata la guerra che li avrebbe divisi. Una storia del genere chiuderebbe la trilogia di spettacoli che intersecano sport e politica che ho aperto con le Olimpiadi del 1936, e portato avanti con Muhammad Ali».

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