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Gianni Speranza, da sindaco di Lamezia, con Papa Ratzinger

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GIANNI Speranza, classe 1954, ha fatto il sindaco a Lamezia dal 2005 al 2015. Poi è tornato a insegnare storia e filosofia al Liceo Scientifico “Galilei”, fino alla pensione. Ultima tessera di partito: Sinistra, ecologia e libertà nel 2017. Non si è più candidato a nulla, non ha chiesto né preso scorciatoie, né ambìto a posti protetti, o a quelle che l’antipolitica chiama genericamente “poltrone” o “sottogoverno”. Ha fatto qualche ora al mese di insegnamento all’Università di Catanzaro, mantenuto un profilo da cittadino attivo e responsabile, attento ai temi locali e nazionali. Ha collaborato con Entopan, azienda privata di innovazione con un ufficio nella Silicon Valley, sedi a Caraffa e (prossimamente) a Tiriolo.

Gianni Speranza ha scritto un libro dove racconta il maledetto mestiere di sindaco, dopo la sua esperienza a Lamezia: ci ha messo anni, perché anche certe scene vanno metabolizzate, e fa impressione anche rileggerle. Questo è il racconto della sua tentazione. Speranza che disse: non voglio a Lamezia il voto dei mafiosi. La fascia tricolore che accolse il presidente della Repubblica e il Papa senza tacere sui problemi del territorio, che sfilò con gli studenti negli anni bui dei palazzi bruciati.

«Ho maturato una disponibilità a ricandidarmi per il Comune di Lamezia – dice Speranza – abbiamo ancora tempo, si vota nella primavera 2025. Ma da oggi voglio verificare se ci sono le possibilità per costruire una coalizione civica e democratica, quindi non trasformista. Non l’uomo della Provvidenza ma dell’aggregazione».

Lei lo sa, Speranza: la vita del sindaco è faticosa.

«Me lo chiedono le persone che incontro. Dicono: “Una volta lo avete fatto per il partito, adesso fatelo per la città”».

E come sta Lamezia?

«Cattiva amministrazione, degrado. Dove vogliono arrivare?»

Facile dirlo da sinistra.

«Io non ho preclusioni, il dialogo è avviato anche con qualche imprenditore. Io dico: veramente dai il voto a me? E lui risponde: con te si può parlare, l’importante è che non litighiate. Insomma me lo chiedono persone che non sono del mio ambiente, anche quelli che sono stati miei fieri oppositori».

Far funzionare una città non è di destra né di sinistra.

«Se tornassi indietro, sarei un sindaco ancora più civico di quello che sono stato. Stia attento ai refusi: ho detto civico, una qualità rara, e non cinico. Certo, io resto per l’uguaglianza e la giustizia sociale. Ma la spinta arriva dai cittadini, e io non sarei questa volta il capo di uno schieramento: devo unire il più possibile».

Lamezia sta così male secondo Speranza?

«Lamezia è più sola, senza rappresentanza. I cittadini mi chiedono di tornare in campo perché vivono ogni giorno una realtà drammatica, dove le opere pubbliche e il decoro urbano sono un miraggio».

Speranza non è più un uomo di partito: si definisce “marginalizzato e ridimensionato” alla fine della sua esperienza da sindaco di Lamezia. A chi si appella?

«Soprattutto ai giovani, la candidatura avrà un senso solo se ci saranno loro. Una nuova generazione che sceglie l’impegno, con una grande voglia di restare e di costruire un futuro in Calabria. Belle liste con bella gente. Con me, pronto a passare il testimone dopo cinque anni. E soprattutto con il consiglio comunale che riprende il suo ruolo di garante del funzionamento della città».

Come stanno i partiti?

«Nel 2005, i partiti della mia gioventù – il Pci e la Dc – erano scomparsi e avevano dato vita ad altre formazioni come Margherita, Ds, Rifondazione. Oggi manca la partecipazione popolare, ci vuole una politica che vada oltre gli interessi personali. Il mondo dei partiti non c’è più».

Chi le chiede di tornare?

«Imprenditori, volontari, dirigenti del Terzo Settore, qualche politico, compagni di scuola ed ex alunni. Mi dicono: provaci».

E Speranza cosa risponde?

«Che senza il loro impegno non posso fare nulla, è una candidatura che nascerebbe dal basso: senza tavoli, vertici di coalizione. Poi posso decidere se candidarmi, in ogni caso non voglio mettere le braghe alla storia né fare il Marchese del Grillo: io so’ io e voi non siete… Il tentativo è quello di formare una nuova classe dirigente, dove sono i 40enni, i cinquantenni di Lamezia?».

Lei ha scritto “Una storia fuori dal Comune” (Rubbettino) per togliersi qualche sassolino, per qualche piccola vendetta?

«Per un motivo molto più importante: che ci fosse memoria di quello che era questa città, dei nomi che non si potevano pronunciare».

(Il pensiero va a Rocco Mangiardi, che in tribunale, davanti agli estensori della famiglia Giampà, disse. “Io non voglio pagare gente che non lavora per me e che so che userà i miei soldi per comprare proiettili, bombe e benzina. Preferisco assumere un padre di famiglia”. Poi, un giorno, Rocco Mangiardi strinse la mano del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E come dimenticare gli attentati alla Progetto Sud, che aveva accettato di gestire beni confiscati della famiglia Torcasio? I tempi sono cambiati).

Che cosa le chiedono gli studenti che hanno letto il racconto dei dieci anni a Lamezia di Gianni Speranza?

«Sono stato qualche giorno fa al Classico “Fiorentino” di Lamezia, questi ragazzi sono più politici dei politici. Mi chiedono come ho gestito le minacce dei mafiosi, se veramente quel giorno Rocco ha detto quelle parole in tribunale. Come ho superato la tragedia degli otto ciclisti investiti e uccisi, un momento tragico della storia di questa città. Di quella professoressa, moglie di una vittima, che dicendo “restiamo umani” bloccò qualunque tipo di risentimento verso la comunità marocchina, a cui apparteneva l’investitore. Uno che peraltro tornò presto libero, e causò un altro incidente mortale».

Il giorno della sua elezione a sindaco di Lamezia nel 2005, il Prefetto la chiama e le dice: “Auguri, Speranza: ma stia attento”. E oggi?

«Oggi ho un vantaggio. Ho fatto già il sindaco, per dieci anni. Antipatico fare una lista, ma ci provo: oltre duecento milioni di lavori pubblici. I due lungomari (uno intitolato a Falcone e Borsellino), quasi 50 km di fogne e 35 km di illuminazione. La sistemazione di via del Progresso, le rotatorie per le quali mi prendevano in giro e ora sono diffuse in tutta Italia… Le piazze rigenerate, il teatro Grandinetti comprato e ristrutturato, come molti palazzi del centro storico. Le piazze centrali rifatte. Tutte iniziative certificate nel libro di Galli della Loggia e Schiavone uscito nel 2021. E poi il Festival “Trame”, che coinvolge ogni anno migliaia di persone, altri cento altri progetti culturali. E un ospedale in Uganda che si chiama Lamezia Hospital».

Un gol che le è rimasto nel cuore?

«Il Parco dedicato a Peppino Impastato, nel quartiere Scinà. Un’area della città considerata off-limits, a poche centinaia di metri dalla casa di un boss. Una zona verde dove oggi la gente va a camminare e correre, dove il grazie per quello che abbiamo realizzato mi arriva dagli stessi esercenti».

Speranza come vede la nuova Lamezia? Le trasmetto un mio sogno: fare che lo Zuccherificio abbandonato e chiuso dal ’61 non sia più il biglietto da visita della città, fra la stazione, l’aeroporto e gli svincoli, con quel profetico murale: la razza umana ha fallito.

«Quello è un territorio privato. Ci provammo a lungo, incontrando rigidità nella proprietà e nella sovrintendenza… Una bella battaglia da fare, partendo dagli espropri. Ma c’è bisogno di finanziamenti, si tratta di un’area molto vasta».

Speranza racconta di aver molto sofferto la “campagna denigratoria” della Giunta attuale di Lamezia. Come se la spiega?

«Sulla gestione finanziaria e il piano di riequilibrio ho risposto punto per punto. In compenso, loro oggi mi sembrano in un pantano politico e amministrativo. Il perché degli attacchi non me lo spiego, è successo forse perché io sono tornato ad insegnare: non c’era nessuna forza politica che mi appoggiasse e mi sostenesse. Ero solo, faccio notare che due consiglieri eletti nel Pd sono passati con la maggioranza. Ci tengo anche a dire che in dieci anni ci siamo ridotti in tre occasioni l’indennità. Io prendevo 2200 euro per 12 mensilità, il sindaco di oggi guadagna tre volte tanto».

E come prenderanno questa sua disponibilità i salotti trasversali che cita ogni tanto?

«Non ci saranno feste: né a destra, né a sinistra».

Del resto, lei è abituato ad avere i compagni di partito all’opposizione.

«Proprio per questo non mi faccio mettere all’angolo. Ho votato Schlein alle primarie, e allora? Voglio andare oltre la questione degli schieramenti. Nella mia vita non ho fatto solo politica, ho fatto casino, movimento, animazione culturale. Non sono più iscritto a un partito, voglio essere di nuovo utile alla città, rimettere insieme le forze sane di Lamezia. E se non sono iscritto io, figuratevi gli altri».

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