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Padovano in Calabria

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Perché Denis e Isabella si lasciano? Sull’argomento, si esprimono in termini pressoché univoci l’allenatore Luigi Simoni, i calciatori Francesco Nocera, Claudio Lombardo, Michele Padovano e persino Domizio Bergamini, il papà della vittima. Stando a ciò che dicono, Denis non accettava il fatto che la ragazza avesse avuto una relazione con un altro membro della squadra. Alcuni testimoni – ma non tutti – fanno il nome di Gabriele Baldassarri, meteora della fascia destra acquistato nel 1984 e ceduto solo un anno più tardi. Si sarebbe trattato, dunque, di un rapporto precedente all’arrivo di Denis a Cosenza, ma a quanto pare per lui era irrilevante.

«Diceva che nel mondo del calcio la gente parla, e questa cosa lui non riusciva ad accettarla, quindi doveva lasciarla». Padovano è ancora più prodigo di dettagli: «Un mese prima di morire, mi disse che aveva parlato con Baldassarri. Lo rintracciò in Romagna per chiedergli se con Isabella vi fosse stato qualcosa e lui lo rassicurò, dicendo che c’era stato solo del petting. Mentre ne parlava, però, Donato era come paonazzo». Anni dopo, sentito a sommarie informazioni, Gabriele Baldassari smentirà di aver frequentato Isabella, aggiungendo anche di non aver mai incontrato Bergamini. Sempre a sentire Padovano, però, Donato ne era quasi ossessionato.

«Ne parlava in continuazione». Ancora Domizio, rilascia altre dichiarazioni in cui – in linea con sua figlia Donata – minimizza il fattore gelosia, spiegando come, a suo avviso, Denis e Isabella non fossero neanche fidanzati. Maltese, il già citato massaggiatore della squadra, è ancora più esplicito: «Per lui era una delle tante» racconta a Petrini, tracciando un profilo intimo di Bergamini, così come nessuno lo aveva mai raccontato prima.

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«Andava con un sacco di ragazze. Credo ignorasse il significato della parola gelosia. Lo faceva per sfogo fisico, ma anche per non sfigurare con i compagni. Era convenzione che i calciatori dovessero per forza scopare e lui non voleva essere da meno. Era molto influenzabile, tanto che i suoi compagni si approfittavano spesso della sua ingenuità». A lasciare un segno su di lui, nell’ultimo anno di vita, era stato soprattutto Padovano.

«Michele portava l’orecchino? Anche Denis allora lo metteva. Padovano ne prendeva uno più grande? Donato faceva lo stesso. Lui indossava mutande di Armani? Allora anche Bergamini cominciava a portare biancheria firmata». Tutto e il contrario di tutto insomma, il che rende l’idea di come la possibilità di un delitto d’onore si faccia largo, tra le ipotesi più disparate, quasi per frustrazione.

A completare un quadro tra i più incerti di sempre, c’è poi la bulimia di sospetti che non risparmia neanche l’orario della morte. Non le 19, bensì un’ora prima rileva il dossier delle parti civili, richiamandosi ad alcune testimonianze che, secondo Gallerani, dimostrerebbero un altro depistaggio a firma Barbuscio. Per il giudice però, così facendo si finisce per smentire se stessi. «Retrodatare l’orario del preteso delitto – rileva la Grimaldi – riduce il tempo a disposizione dei presunti assassini per impiantare la messinscena».

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Su una strada stretta e trafficata poi, con auto che vanno e vengono e con una pattuglia dei carabinieri a soli tre km da lì. Congetture in libertà, dunque, e tanta confusione. Tuttavia, è proprio in ciò che dicono gli amici di Denis – o in ciò che non dicono – che potrebbe celarsi una possibile soluzione dell’enigma. Uno di loro, in particolare, sa molte cose; forse più di quelle che racconta.

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