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Le auto distrutte dalle fiamme

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Incendiata la auto di un imprenditore, intimidazione a Longobardi nel Cosentino, le fiamme hanno distrutto anche quella della moglie, l’autore sarebbe un brasiliano


LONGOBARDI (COSENZA) – Due auto danneggiate nella notte, un messaggio non detto ma piuttosto chiaro e inquietante. Il grave episodio è accaduto in un piccolo comune della costa tirrenica cosentina ai danni di un imprenditore che, a Longobardi, da anni gestisce pratiche di cittadinanza per stranieri di origine italiana. Nessun nome, nessun volto, ma il segnale appare inequivocabile: chi prova a rispettare le regole finisce nel mirino. E non è un caso isolato. L’obiettivo principale è stata l’auto dell’imprenditore, ma le fiamme si sono propagate coinvolgendo una seconda vettura appartenente alla coniuge.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i carabinieri. Le indagini sembrerebbero indirizzarsi su alcune persone provenienti proprio dal Sudamerica e impegnate nella gestione irregolare degli arrivi e delle pratiche. Il presunto autore dell’incendio, un brasiliano residente a Fiumefreddo Bruzio, sarebbe stato già individuato. L’episodio, che con tempistiche diverse poteva ritenersi marginale, oggi è in realtà l’ultimo tassello di una vicenda ben più ampia, che ruota intorno all’ottenimento della cittadinanza italiana tramite la modalità Iure Sanguinis – una procedura legale basata sul diritto di sangue. A utilizzarla sono perlopiù cittadini provenienti da paesi come Argentina, Brasile e Venezuela, discendenti di italiani emigrati nel secolo scorso.

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Il meccanismo consente loro, attraverso la dimostrazione della linea di sangue e la residenza in un comune italiano, di ottenere la cittadinanza senza necessità di residenza prolungata o integrazione. Il problema non è la legge, ma quello che nel tempo si è costruito attorno. Nei comuni calabresi di Longobardi e Fiumefreddo – epicentri fino a qualche tempo fa silenziosi di questo fenomeno – sono state presentate migliaia di pratiche. Si stima che solo in questi due comuni, oggi, siano state attivate almeno 4.000 richieste.

Cifre impressionanti, che si traducono in un giro d’affari da milioni di euro: tra i 3.000 e i 4.000 euro a pratica, pagati da stranieri desiderosi di ottenere il passaporto europeo. La questione, sulla quale sta indagando la Guardia di Finanza, è venuta alla luce attraverso un’inchiesta minuziosa, pubblicata dal nostro giornale, a firma del collega Rino Muoio. Dietro la facciata burocratica si muoverebbe un sistema parallelo. Ci sono operatori regolari, spesso piccoli imprenditori che offrono servizi trasparenti, affitti legali, consulenze e documentazione.

E poi ci sarebbe un sottobosco informale, popolato da soggetti improvvisati, intermediari spregiudicati, e gruppi che gestiscono le pratiche al limite della legalità, se non oltre. Con la recente stretta normativa, entrata in vigore il 28 marzo, la tensione è salita ulteriormente. Il nuovo decreto ha ristretto i requisiti per l’accesso alla cittadinanza, escludendo chi può dimostrare la discendenza solo oltre la seconda generazione. Questo ha creato una corsa contro il tempo e innescato una vera e propria guerra tra chi opera regolarmente e chi invece ha costruito un impero sullo sfruttamento delle falle del sistema. E in questo clima, chi non si adegua paga.

L’intimidazione avvenuta nella notte potrebbe essere un segnale preciso: allontanarsi dalle regole informali non è ben visto. È ipotizzabile che qualcuno voglia continuare a controllare il flusso delle pratiche, mantenendo salde le proprie posizioni economiche, anche a costo di usare pressioni e minacce. A essere colpiti, non sono figure borderline, ma chi gestisce l’attività con trasparenza, pagando le tasse e rispettando i vincoli di legge.

Il paradosso è che la cittadinanza, un diritto che dovrebbe essere riconosciuto secondo criteri chiari e condivisi, è diventata una merce. Un prodotto venduto al miglior offerente, spesso senza che il richiedente metta mai realmente piede in Italia, se non per il tempo minimo necessario a dichiarare una residenza che ha bisogno di attenti accertamenti per essere riconosciuta. I comuni coinvolti, spesso piccoli e con scarse risorse, non sempre riescono a effettuare controlli efficaci. E i recenti fatti di cronaca raccontano che in alcuni casi, chi dovrebbe vigilare, preferisce chiudere un occhio, lasciando che l’ingranaggio continui a girare.

Il rischio, però, è doppio. Da un lato, si genera una concorrenza sleale che penalizza chi opera con correttezza. Dall’altro, si legittima un sistema che svuota di significato il concetto stesso di cittadinanza. Il passaporto italiano diventa un lasciapassare per l’Europa, e tutto ciò che conta è ottenerlo nel modo più rapido e conveniente possibile. Ma qualcosa si sta muovendo. Le denunce presentate hanno dato il via a indagini formali tuttora in corso. L’attenzione mediatica crescente ha acceso un faro su un fenomeno che per troppo tempo è rimasto sommerso.

In particolare, l’esposizione pubblica del caso ha probabilmente sollecitato le autorità locali e le forze dell’ordine ad approfondire il fenomeno, facendo emergere, per la magistratura, dinamiche penalmente rilevanti. Far luce su quanto accade in questi piccoli comuni significa difendere un principio, ma anche proteggere chi lavora nel rispetto delle regole. E in un contesto dove il silenzio è spesso più pericoloso dell’illegalità, raccontare è già un primo passo verso il cambiamento.

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